Mancano poco più di due settimane alla fine – mai così tanto attesa -, di questo 2020, e le sorprese non accennano a finire.
Dopo la tragedia della pandemia e la vita sospesa come conseguenza, la cosa che più ha abitato la nostra ‘nuova normalità’ è stata la consolazione di poter continuare una parvenza di vita, di lavoro e di studio grazie a Internet.
Soluzioni che mai avremmo neanche considerato fino a meno di un anno fa sono diventate il nostro pane quotidiano, dagli smanettoni del web ai nonni. Ci siamo ritrovati a discutere in piena scioltezza dei pregi e dei difetti delle piattaforme per le videocall, o a scambiarci i link per gli sfondi delle videochiamate come fossero consigli di moda.
Un equilibrio precario, fondato sulla certezza che la Rete ci avrebbe concesso di non ritrovarci, improvvisamente, da soli.
Fino alle 12.45 di oggi. Ora in cui il gigante Google, e cioè la piattaforma online a cui sono legate tantissime, se non tutte, le nostre attività cosiddette ‘smart’, ha di punto in bianco smesso di funzionare.
Non solo un pezzo, ma tutto l’universo progettato dagli ingegneri di Menlo Park ha scricchiolato per circa 90 minuti in tutto il mondo, congelando di fatto quella che è diventata la nostra nuova realtà.
Dalla posta elettronica a Youtube, dai sistemi di condivisione dei documenti come Drive, a Google Meet fino alla piattaforma per la didattica a distanza come Google Classroom, tutto si è fermato. Una cosa mai accaduta prima.
Tralasciando per un attimo i tweet goliardici degli studenti – alle prese con la versione moderna di ‘c’è una bomba nella scuola’ – si tratta di un avvenimento che apre a interrogativi e dubbi.
Cosa mai è potuto accadere a un sistema che, basandosi sulla replicazione di cluster di server in tutto il mondo, è praticamente inattaccabile?
C’è da dire che da Menlo Park hanno immediatamente ammesso il problema, rassicurando su una pronta soluzione che però è arrivata solo dopo un’ora e mezza – un’eternità in un mondo in cui la velocità è tutto e il tempo si misura in micron di secondo -. Resta il fatto che ancora non è chiaro quale avvenimento non controllato abbia potuto congelare le nostre vite, senza preavviso.
Dagli esperti sono arrivate le più disparate ipotesi, da un attacco hacker a un possibile errore umano. Fino a quella che potrebbe sembrare forse più verosimile, e cioè l’ipotesi che il blackout informatico possa essere stato causato da alcune misure di prevenzione messe in atto da Google dopo il recente attacco, pare da parte russa, contro decine di importanti realtà a livello mondiale e statunitensi in particolare.
Un attacco, probabilmente messo in atto dal gruppo di hacker APT29, che avrebbe spinto Google a rivedere la sicurezza dei propri sistemi e dunque a farli ripartire dopo l’applicazione di contromisure ad hoc, con il risultato di creare il buio di oggi.
Al netto di quella che sarà la spiegazione ufficiale dell’episodio, restano in piedi alcune considerazioni sulle quali occorrerà riflettere e agire. La prima è che esiste qualcosa, da un reboot mal riuscito a un possibile errore umano, capace di fermare improvvisamente tutto ciò che su una piattaforma come Google si muove, dallo studio alle transazioni d’affari. Un dato che ci consegna, per la prima volta, la fotografia di un gigante fragile.
La seconda è che appare sempre più evidente come la nuova ‘guerra fredda’, o per meglio dire il terreno su cui sempre di più si confronteranno e scontreranno gli interessi delle super potenze nel nuovo millennio, è quello della Rete. Un luogo che non è lo spazio profondo, dove nel secolo scorso Usa e Urss mettevano in mostra le proprie capacità tecnologiche, né qualche remoto test missilistico.
Perché sulla Rete ci siamo sempre di più tutti noi, le nostre vite, il nostro lavoro e i nostri affetti, così come i nostri dati sensibili e le nostre identità. Una considerazione che deve portare all’attenzione dei massimi livelli delle nostre democrazie la questione della cybersecurity come un punto cruciale per il futuro di tutti.