Assegno unico per i figli, lavoro femminile e servizi
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La decisione in Legge di bilancio di uno stanziamento di 3 miliardi nel 2021 e di 5,5 miliardi nel 2022, che si aggiunge alle risorse liberate dall’abrogazione di ben otto misure, rappresenta il passo irreversibile verso l’avvio dell’Assegno unico per i figli, previsto per il 1 luglio 2021. Manca l’approvazione finale della legge al Senato (prevista a gennaio) e servono ancora i decreti legislativi e quelli ministeriali, ma il più è fatto. C’è infatti un largo consenso politico sulla misura (la legge è stata votata all’unanimità alla Camera) e ora ci sono anche le risorse aggiuntive per partire.

Gli obiettivi principali sono noti: incentivare la natalità; sostenere la genitorialità; ridurre le disuguaglianze legate ai carichi familiari; tutelare i servizi di welfare ed educativi, nonché la previdenza; stimolare i consumi, specie su base locale. Anche le sue caratteristiche sono delineate. L’Assegno unico è semplice, perché abroga molte misure oggi in vigore e le riassume in una sola. E’ equo, perché ad ogni figlio si riconosce lo stesso importo senza scale di equivalenza; anzi dal terzo figlio è prevista una maggiorazione, che vale anche per i figli disabili. Si tratta di una misura universale, perché ne beneficiano tutti, anche gli autonomi, i liberi professionisti, gli incapienti, i disoccupati. La misura prevista è continua, senza pause, dal settimo mese di gravidanza fino alla maggiore età e può arrivare fino ai 21 anni. L’importo concesso sarà robusto e comunque non inferiore alla somma dei benefici attuali.

Assodato l’impianto, che ora necessita soprattutto della definizione degli importi concessi e delle modalità organizzative di erogazione, affronto di seguito due sole questioni tra le tante, sottolineando come occorrano molte altre misure (servizi, congedi, politiche di conciliazione, ecc.) per sostenere le famiglie e la genitorialità, ben note e oggetto di una costante iniziativa del Partito Democratico.

La prima questione riguarda un dubbio: l’Assegno unico per i figli potrebbe disincentivare il lavoro femminile? A questa domanda si potrà rispondere davvero solo a posteriori, dopo aver visto i suoi effetti. Ci sono però buoni argomenti per ritenere infondato tale timore. Anzitutto perché la misura ricalca quella già prevista in Paesi come la Germania e il Regno Unito, che hanno tassi di occupazione femminile molto maggiori dei nostri. In legge è poi espressamente previsto di tener conto di tale eventuale rischio, prevedendo che il reddito del secondo percettore (spesso della donna) sia considerato di meno nel calcolo dei redditi del nucleo familiare. C’è poi motivo di credere che la disponibilità di maggiori risorse possa incentivare la domanda privata di servizi educativi o di beni e servizi di prossimità, prevalentemente assicurati dal lavoro femminile. Senza dimenticare che i servizi educativi e scolastici pubblici, svolti soprattutto dalla donne, sono oggi a rischio proprio per il drammatico calo delle nascite registrato in Italia in questi anni.

L’altra questione riguarda l’eventuale alternativa tra aiuti in denaro o in servizi. C’è chi ritiene sia preferibile dare servizi, sia per aumentare le possibilità di lavoro, sia per evitare consumi impropri e non essenziali. Su quest’ultimo pericolo occorrerà vigilare, prevedendo nei decreti appositi controlli, specie nei confronti delle famiglie più deprivate. Sul lavoro si è già detto poco sopra. Peraltro, mantenere un figlio costa (in media quasi 10mila euro l’anno) ed è giusto che la collettività se ne faccia, almeno in piccola parte, carico. Non a caso, oggi molti studi ci dicono che le famiglie numerose hanno buone probabilità di cadere in povertà.

D’altronde quasi tutti i Paesi occidentali riconoscono questi aiuti, in denaro o in riduzione delle imposte. Non ci sono quindi ragioni per mettere in alternativa il sostegno economico a quello per servizi. Piuttosto vanno entrambi potenziati, specie alla luce del confronto con le altre nazioni europee, che sulle politiche familiari e per i figli spendono mediamente molto più di noi. Ma ora anche in Italia stiamo recuperando, finalmente.

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