Ricordare il futuro. Nel nome di chi è venuto prima, nell’amore per chi verrà dopo
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“Ricordare il futuro”. Tre parole soltanto, ma sono bastate a David Grossman per trasmettere il senso profondo della memoria. Quella che facciamo coincidere con il 27 gennaio. Quel giorno del 1945 le truppe sovietiche abbattevano i cancelli di Auschwitz e il mondo si trovava dinanzi al Male assoluto. La Shoah, il genocidio di un popolo, l’orrore per lo sterminio di milioni di ebrei, e sinti, rom, omosessuali, deportati politici. E donne e bambini.

Vorrei poter dire che mai sarà consentito dimenticare. E invece so che l’orrore potrebbe tornare. Al fondo anche allora visse perché ci fu chi quell’orrore volle, chi lo praticò, facendolo entrare nella storia sotto i simboli nazisti o nel silenzio colpevole dei tanti, troppi, che tacquero.

Ricordare è anche il modo – forse l’unico modo – per consegnare a quella pagina oscena il suo carico di memoria tessuto attorno a nomi, volti, racconti.

Etgar Keret è uno scrittore. È nato a Tel Aviv nel 1967, oltre due decenni dopo il Male. Lui racconta che quando, bambino, lo portarono a un Museo dell’Olocausto la cifra scoperta, i sei milioni di ebrei uccisi, lo scioccarono, ma non lo fecero piangere, come fosse una dimensione irreale nella sua sciagura. Pianse, invece, e tanto a un racconto della madre e all’idea che lì, dentro il ghetto di Varsavia, la persona a lui più cara, rubato un pezzo di pane, se lo era trattenuto senza mangiarlo per il desiderio di annusarlo più a lungo finché a portarle via quel pezzo di vita non era stato un gatto o un topo.

Ricordare il futuro, allora, perché anche così l’umanità può riscattarsi da piaghe e orrori.

Liliana Segre – la Senatrice della Repubblica, Liliana Segre – lo insegna ogni giorno da anni. Il mio amico, Lele Fiano, ha appena ripercorso quella tragedia attraverso gli occhi della sua famiglia e di un padre assai amato e salutato da poche settimane.

Tante sono le guerre sparse ancora nel mondo. Le violenze, gli abusi e le torture, odi e disperazioni in angoli e continenti diversi. Ma troppe sono anche le rimozioni in questa fragile e preziosa democrazia. Volgere lo sguardo a quel dolore è il nostro modo di preservarne la radice che deve rimanere il vincolo sacro della dignità, della inviolabilità, di ogni essere umano.

Per tutto questo il 27 gennaio è parte di noi.

Una parte intima e una parte pubblica da condividere nell’idea irrinunciabile che per la libertà ci si deve continuare a battere.

Nel nome di chi è venuto prima, nell’amore per chi verrà dopo.

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