Cosa significa essere democratici nel 2021? Un invito al dibattito

L’Italia è giunta ad uno spartiacque.

A prescindere da come si chiuderà la crisi di governo, abbiamo di fronte a noi la fase conclusiva della pandemia. Dopo verrà la ricostruzione. Ma se non vogliamo che il fiume in piena del Recovery Fund si disperda in mille rivoli sconnessi, è vitale concepire una visione politica complessiva e organica per l’avvenire del Paese. Parlo da cittadino e lavoratore di 24 anni che ha cominciato ad affacciarsi ai dilemmi della vita adulta (“Quando avrò un lavoro stabile? Con quali prospettive? Quando potrò costruire una famiglia?”): è un’esigenza bruciante. E mentre la sento, credo di essere in buona compagnia dei milioni di italiani incapaci d’accontentarsi di una politica che, come Nicole Kidman in Before I Go To Sleep, si sveglia ogni mattina senza memoria ed è incapace di programmare nulla con un orizzonte superiore alle 24 ore.

Immaginiamo di consegnare all’intero ceto politico italiano un tema con una consegna telegrafica: “Descrivi l’Italia del 2040”. Buona parte degli esaminandi lascerebbe il foglio in bianco. Ma… ci sono due ma. Primo, a fronte di tanti fogli bianchi non ho dubbi che qualcun altro scriverebbe fiumi di parole estremamente lucide. Secondo, i progressisti avrebbero una marcia in più. Ne sono convinto. Innanzitutto perché, diciamolo, il vocabolario accorre in aiuto. Progressismo significa avere fiducia che l’umanità riesca a trovare le soluzioni giuste ai grandi problemi che la affliggono, evolvendosi verso forme di convivenza sociale via via più civilizzate. Quando descriviamo noi stessi come riformisti, dovremmo sempre tenere a mente che le riforme sociali hanno senso solo in quest’ottica storica. Altrimenti la riforma è fumo negli occhi, contenitore senza contenuto.

In Italia, il principale partito progressista ha deciso alla sua nascita di chiamarsi democratico. È un aggettivo potentissimo e carico di responsabilità. Essere progressisti e democratici vuol dire credere che il bene principale per l’umanità coincida con la maggiore espansione e il più forte radicamento possibile della democrazia tra i popoli del pianeta, a partire dal Paese in cui viviamo. Il problema però è che la democrazia è un concetto mutevole: nell’Atene di 2.500 anni fa significava far radunare in piazza gli uomini liberi (non le donne, né gli schiavi, né gli immigrati) e votare per alzata di mano. Oggi è tutta un’altra storia.

Ma insomma, a questo punto la domanda sorge spontanea: cosa significa essere democratici nel 2021? Possiamo continuare a pensare che ad una società, per definirsi democratica, bastino elezioni regolari, istituzioni indipendenti e stato di diritto? Come hanno dimostrato le vicende delle ultime elezioni americane, la democrazia è come il servizio di stoviglie delle grandi occasioni: un patrimonio fragile. Se si riduce a una liturgia tutta politica, diventa forma senza sostanza. E i cittadini se ne disamorano.

La democrazia invece ha bisogno di respirare a pieni polmoni in tutte le formazioni che compongono la comunità: la famiglia, la scuola, l’impresa, l’associazionismo. Una società democratica è un grande processo quotidiano di educazione collettiva degli individui a fidarsi l’uno dell’altro, scegliere dei partner con cui raggiungere un fine comune, mettere al centro del tavolo i mezzi di cui ciascuno è dotato (lavoro, capitale, inventiva) e partecipare da pari a pari alla gestione di queste risorse. Si tratta di cooperare, che è ben più di collaborare, come va ripetendo da anni Stefano Zamagni: per collaborare basta avere interessi diversi che per qualche momento coincidono. Per cooperare bisogna essere così coesi da avere gli stessi fini. È lo stesso principio della democrazia, se ci pensiamo bene. Se così non fosse, non avremmo la Costituzione, che è il fine comune dell’appartenenza alla nostra Repubblica.

Il Recovery Plan può aprire la più grande stagione di riforme nella storia di questo Paese. Usiamo queste risorse per dare aria, luce e nutrimento alla nostra democrazia. Cosa vuol dire nel concreto? Un ottimo punto di partenza sono le sette priorità espresse qualche giorno fa dall’Alleanza delle Cooperative Italiane: 1) Piattaforme digitali controllate dagli utenti; 2) Comunità energetiche per la produzione diffusa da fonti green; 3) Economia circolare; 4) Digitalizzazione dei beni culturali; 5) Edilizia sociale; 6) Asili nido e servizi per l’infanzia; 7) Assistenza sanitaria territoriale. Aggiungiamone pure un’ottava: le imprese rigenerate (o workers buyout), cioè quel che accade quando i lavoratori salvano la propria azienda dalla chiusura acquistandola. Oggi lo Stato garantisce il suo sostegno nel caso di crisi d’impresa, sarebbe importante estenderlo anche nei casi in cui un proprietario vuole cedere l’attività e non riesce a trovare successori.

Infine, due fondamentali tasselli: istruzione e ricerca, ad ogni ordine e grado. Le due cose devono intrecciarsi, sin dalle scuole elementari, perché una democrazia non può sopravvivere se chi la esercita non possiede cultura né spirito critico. Lo diceva un secolo fa il grande pedagogista John Dewey: sta tutto nelle sue parole. Nove e dieci, cifra tonda.

Credo che questo insieme possa costituire il nucleo fondamentale di un programma riformista per gli anni Venti, da estendere e approfondire alla luce di una solida missione comune: compiere un vigoroso passo in avanti nel cammino storico della democrazia.

Sarebbe bello se, a partire da questa proposta, nascesse un dibattito dentro questa comunità politica. Cosa significa essere democratici nel 2021?

 

1 COMMENTO

  1. Se noi chiedessimo a qualsiasi cittadino, che sia di destra o di sinistra, se è un democratico probabilmente la risposta, nella maggior parte dei casi, sarebbe affermativa. Sembrerebbe una buona notizia: l’accettazione da parte della maggior parte dei cittadini del metodo democratico per la gestione del potere. Sappiamo però che la concezione della democrazia non è univoca. Molto probabilmente la concezione della democrazia che ha Trump, o che avevano Thatcher e Reagan, è diversa da quella che abbiamo noi.
    Lo stesso concetto di progressismo o riformismo si presta a varie interpretazioni. Negli anni passati si sono fatte riforme nel nome del progresso, dell’efficienza o del contenimento dei costi, che hanno ridotto gli spazi di democrazia piuttosto che ampiarli.

    Quindi si può essere in un regime democratico, si possono svolgere libere elezioni, avere uno stato di diritto ma questo non implica necessariamente che il sistema sia “progressista” nel senso di avere un progressivo miglioramento delle condizioni sociali di convivenza.

    Ma allora posto che il sistema democratico è l’unico che garantisce le libertà dell’individuo, quale è il discriminante per un sistema democratico che sia pure progressista?

    Su questo ci viene in aiuto l’art. 3 della nostra Costituzione:

    “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

    E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

    La seconda parte mi pare di primaria importanza in quanto afferma un principio di uguaglianza “sostanziale” fra i cittadini che è la discriminante fondamentale per un riformismo che abbia un contenuto progressista.

    Prendiamo ad esempio una riforma della sanità che privilegi quella privata a pagamento rispetto a a quella pubblica universale. La riforma non sarebbe imposta da un dittatore ma votata in un parlamento liberamente eletto rispettando quindi le regole democratiche. In un regime democratico formale sembrerebbe non incidere sui diritti e le libertà dei cittadini. Ma sostanzialmente lederebbe i diritti sociali di quei cittadini che non avrebbero le risorse economiche per accedere ai servizi a pagamento della sanità privata.

    Quindi essere democratici nel 2021 significa anche ridare valore al principio di uguaglianza “sostanziale”, premessa indispensabile per una visione politica progressista che dia un senso al governo democratico della società.

    Il percorso non sarà semplice. E’ ormai diffusa un’idea della politica che investe direttamente le istituzioni della rappresentanza democratica.
    A partire dagli anni 90 si è trascurato il principio di uguaglianza e si sono abbracciate, anche a sinistra, idee proprie del neoliberismo: meno stato, competizione, fiducia incondizionata nel potere regolatore del mercato, politiche restrittive sul welfare, prevalenza dei diritti civili su quelli sociali, precarizzazione del lavoro, delega del governo alle tecnocrazie e alle èlite, ecc. Tutto questo ha portato allo sviluppo del populismo, ad una sempre maggiore distanza fra i cittadini e la politica, fra i cittadini ed i propri rappresentanti visti come distanti, corrotti, “la casta”, ecc. A questo si è aggiunto un preoccupante appiattimento dell’informazione, ormai in mano a pochi gruppi editoriali, che contribuisce alla destrutturazione della democrazia utilizzando gli stessi argomenti populisti che a parole critica.

    Siamo pronti a rimettere in discussione quello che Gramsci definiva come il “senso comune”?

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