Ius soli e scuola, i bambini ci guardano: approviamolo per loro
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Ogni anno nascono o arrivano in Italia, nel Paese in cui poi vivono e studiano, migliaia di bambini che non hanno nessun tipo di diritto e che non sono cittadini dei Paesi dei genitori, né del nostro Paese. Benissimo ha fatto il segretario Letta a porre lo ius soli tra i punti importanti dell’agenda politica, perché non è “la cittadinanza facile per gli immigrati”, come qualcuno pure ha provato a sostenere, ma un diritto per chi nasce in Italia, che non toglie nulla a chi già ne gode, eliminando soltanto una condizione di sostanziale discriminazione per coloro che non possono godere del diritto di cittadinanza del Paese in cui vivono.
A chi afferma, ancora oggi, che il tema non è una priorità, dobbiamo avere la forza di rispondere che anche quando non c’era la pandemia, sembrava esserci sempre qualche buona ragione per rinviarne l’approvazione. Bisogna dunque superare i pregiudizi ideologici e riportare il tema al centro della discussione politica.

È inaccettabile, infatti, che chi nasce in Italia da genitori stranieri e cresce nel nostro Paese impieghi 18 anni per avere la cittadinanza, rimanendo per troppo tempo sospeso in un limbo senza diritti, e invece un residente all’estero sposato/a con un’italiana/o ci metta solo 3 anni.

Non è soltanto l’articolo 3 della Costituzione italiana, che sancendo sia l’uguaglianza formale che quella sostanziale, impone questa scelta di civiltà. Anche l’articolo 2 della Convenzione internazionale sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza prevede che i paesi firmatari come l’Italia garantiscano pari diritti “a ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o altra del fanciullo o dei suoi genitori o rappresentanti legali, dalla loro origine nazionale, etnica o sociale, dalla loro situazione finanziaria, dalla loro incapacità, dalla loro nascita o da ogni altra circostanza”.

D’altra parte, oltre ad essere una scelta identitaria per un partito che dell’integrazione e dei diritti per tutti ha fatto la propria storica battaglia, sarebbe una scelta di assoluto buon senso, perché darebbe forza e sostegno alla sicurezza collettiva, delineando diritti, ma anche doveri, rafforzando il legame sociale e la convivenza pacifica e civile tra italiani e stranieri.

Per i docenti, abituati all’ascolto e al confronto continuo con chi è portatore di culture diverse, l’approvazione della legge sullo ius soli sarebbe la conferma della bontà del lavoro continuo svolto in classe, affinché gruppi di bambini sempre più disomogenei riuscissero a diventare gruppi omogenei, giorno dopo giorno, in piccole comunità aperte ed accoglienti.
Nei nidi, nelle scuole dell’infanzia e nelle scuole primarie, ma in parte anche nelle scuole secondarie, gli insegnanti cercano costantemente di integrare con pari dignità bambini delle più diverse provenienze: lo si fa per la potenza dei loro sguardi, per il loro desiderio di essere accolti, per la semplicità e la spontaneità con cui si aprono al confronto.

Non va dimenticato infatti che la proposta del Pd, che purtroppo si arenò in senato durante la scorsa legislatura, prevedeva lo ius soli temperato dallo ius culturae: avrebbero potuto ottenere la cittadinanza italiana anche i minori stranieri nati in Italia o arrivati nel Paese prima di compiere dodici anni, che avessero frequentato regolarmente la scuola per almeno cinque anni o che avessero seguito percorsi d’istruzione e formazione professionale triennali o quadriennali idonei a ottenere una qualifica professionale.

Lo ius soli temperato dallo ius culturae non è strutturato come un premio da elargire a chi va a scuola, ma l’esatto contrario: è il riconoscimento di un diritto che consente di poter andare a scuola senza perdersi: non sottovalutiamo la dispersione scolastica dei figli di immigrati che supera il 30 per cento, cioè il doppio rispetto a quella degli italiani con cittadinanza.

Bisogna dunque farlo per loro, per quell’esercito di bambini, italiani e non, e di docenti, in prevalenza donne, che nelle scuole ogni giorno costruiscono le condizioni per una cittadinanza, che di fatto, tra i banchi, esiste già. Non bisogna lasciarli soli nell’affrontare la sfida più straordinaria del nostro tempo, che è quella di porre le basi per un orizzonte culturale che costruisca una società tollerante e più aperta. Non è dunque, quella dello ius soli, una battaglia che deve vedere contrapposti i partiti, ma una sfida che ha visto coinvolti da anni vasti settori dell’opinione pubblica, dalla scuola all’associazionismo.

Oggi, con il rilancio che del tema ha fatto il segretario Letta, possiamo sanare la ferita che si aprì quando non riuscimmo ad approvare la legge e dare senso al lavoro coraggioso e faticoso di chi nella società combatte contro pregiudizi e rancore sociale. Se non ora, quando?

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