Le sfide del presente e il dovere di difendere il governo sotto assedio
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Mettiamola giù secca. È ragionevole sparare sul governo come neppure sul pianista nei vecchi western al chilo? Chiaro che per noi la risposta è no. Perché chiunque proponesse ora una crisi della maggioranza nei fatti camminerebbe nel vuoto o, peggio, aprirebbe la via a manovre di palazzo che ci condurrebbero filati ai peggio riti del passato. Per quanto conta il Pd ha espresso una linea: dopo questo governo altre soluzioni non vi sono se non il ritorno alle urne, e dal Colle più alto è arrivata una conferma implicita. Ma allora perché il fuoco di fila verso un esecutivo, pure imperfetto come tutte le cose umane, eppure in prima fila nel gestire la peggiore emergenza sanitaria, economica e sociale della vicenda repubblicana? Cosa induce la grande stampa, buona parte delle reti generaliste – l’opposizione, si sa, persegue il suo mestiere – a bombardare Palazzo Chigi e tutto il contesto con una gragnuola di accuse che, a metterle in fila, configurano non già una critica lecita quanto il remake di Norimberga?

D’accordo, una quota di opportunità, alla polemica intendo, la offrono spunti interni alla maggioranza medesima. Si va dalle boutade dell’ala movimentista 5 Stelle sedotta dall’alleato cinese alle pulsioni di Italia Viva per una resa di conti col Guardasigilli sino al tira e molla sulle regole d’ingaggio per reddito d’emergenza o regolarizzazione degli immigrati. L’elenco non è sintetico e nessuno può negare o rimuovere false partenze e annunci sovrastimati se rapportati all’impatto. Lo stesso capo del governo ha denunciato limiti di traduzione dei provvedimenti più attesi, dal credito bancario agevolato e sotto piena garanzia dello Stato alle tempistiche nell’erogazione di cassa integrazione, ordinaria e in deroga, o dei diversi bonus accreditati nel corso delle manovre adottate. Insisto però, possono bastare procedure ansimanti di una burocrazia incistata nello Stato a motivare la quota di livore rivolta a quanti, bene o male, si sono posti a garanzia di una tenuta complessiva del sistema travolto dall’onda più alta mai riversata sulla testa di imprese, famiglie, lavoratori, ragazzi?

Anche in questo caso la replica più ragionevole è un no. Dunque rimane da capire cosa smuova tanta furia nel denunciare la presunta nudità del sovrano, e non basta porre in sequenza la scansione ordinata del già svolto. Oddio, magari non basta, ma neppure si può far finta che non esista. In fondo parliamo di un paese, il nostro, che vedrà calare il Pil per l’anno solare di circa 9 punti, alzare il deficit a una doppia cifra, ritrovarsi il tasso dei senza lavoro a sfiorare il 12 per cento e un debito pubblico avvicinarsi all’iperbolica cifra del 160. L’Europa, per fortuna, non ha ripercorso il sentiero indecente del 2008 e si è messa in sintonia con lo spirito del tempo. Ha sospeso il patto di stabilità (da lì il deficit stellare pure per noi) e reso familiari quegli acronimi (Bce, Bei, Sure, Mes) oltre al Recovery Fund che, al di là della formula, si traducono in 220 miliardi di acquisto dei nostri titoli, 40 miliardi di nuovi investimenti, 20 di protezione dei futuri senza lavoro, 37 (il cielo lo voglia!) di risorse per spese dirette e indirette nella sanità e una cifra molto più poderosa appena la presidente della Commissione riferirà su forme e tempi di quel fondo straordinario per la ricostruzione, vera diga abbattuta nei confronti delle premure rigoriste a lungo preservate nel blocco nordico dell’Eurozona.

Subito dopo si dovrebbero elencare i provvedimenti assunti all’interno e che sommandosi configurano la somma monstre dei famosi 80 miliardi mobilizzati tra il Cura Italia, il decreto liquidità e l’ultimo, battezzato “aprile” e licenziato “maggio”. Qui davvero comporre la lista ruberebbe colonne, diamo per saputo il merito. Rimangono due snodi da fotografare per chiudere il cerchio della domanda iniziale.

Il primo riguarda lo scarto – questo sì, insostenibile – tra l’annuncio e la ricaduta. Se lo Stato, intendo proprio la macchina operativa destinata per missione a sminare il campo da trappole e impedimenti finisce col seminarne il doppio è evidente che si possa capotare in parcheggio. Lasciamo a sfondo il cahier de doléance. Dico solo che se un nuovo decreto ha da vedere la luce è bene riguardi l’arte dello sburocratizzare e velocizzare tutto ciò che necessita ora. Vuol dire tempi di erogazione delle risorse a singoli e imprese, dalle più piccole in su, e poi le stesse procedure di gara prevedendo normative temporanee giustificate dall’emergenza.

Infine, però, rimane l’interrogativo d’apertura: cosa convince stampa (buona parte) e attori sociali dei più diversi a scatenare verso il governo un’offensiva degna di causa migliore? Mi azzardo a declinarla così. Dietro il “presente”, vale a dire l’emergenza sanitaria, il lockdown, la fase 2 e tutto il resto, si staglia il tema vero, fondante, che investe il “dopo”. Ma è su quel dopo che si giocheranno la partita politica, la tenuta del governo e il destino del paese. Perché dinanzi a quella prospettiva emergeranno e faranno sentire la propria voce visioni differenti dei beni comuni, del ruolo dello Stato dopo la pandemia, delle strategie e politiche tese a rifondare – non ripensare, rinnovare, ammodernare…no, ho scritto proprio rifondare – la natura dello spazio e del discorso pubblico in questo paese e di converso nell’Europa tutta.

Lasciamo perdere il paragone usurato e usurpato con la guerra, una verità però appare nitida nel profilo: tutto, o quasi, il bagaglio di pensieri sulla modernità cumulato nell’arco dell’ultimo quarto di secolo avrà da esser rivisitato, e spesso riscritto. Mercato del lavoro e politiche attive, welfare e ripartizione delle risorse, la relazione tra reddito fruito (in vari modi) e accesso alla cittadinanza, capitolo della formazione (a distanza, ma soprattutto permanente), patto fiscale e fine di ogni esenzione o privilegio e sussidio statuale per chi esporta residenze di comodo altrove. L’elenco potrebbe allungarsi con facilità, però è esattamente all’incrocio di queste tematiche che si inalberano i difensori dello status quo. Tutto sommato è qui che il neo vertice degli industriali associati pesca le ragioni per collocarsi in cima alla classifica degli antigovernativi (per quella istituzione un mai più visto dopo l’ostilità manifesta nei confronti del primo centrosinistra).

Noi, il primo partito della maggioranza (stando ai sondaggi almeno) abbiamo la responsabilità primaria di convincere scettici e ostili (non parlo delle destre ovviamente) che la strada imboccata, al netto dei suoi limiti, è l’unica possibile. Porre in sicurezza i beni essenziali della nazione (a cominciare da lavoro e impresa) per immaginare un ciclo lungo e diverso dello sviluppo italiano. Con la frattura che già si è consumata nella vita di milioni di famiglie, ma piegata al meglio, verso una ripartenza, o ricostruzione (o Rinascimento come lo battezza Vittorio Emanuele Parsi che inaugurerà il ciclo di lezioni della Fondazione Costituente su Immagina.eu), per restituire alla parte più grande del paese non già la scommessa di tornare al punto dov’era prima, ma la speranza di affrontare un tempo storico nuovo con gli strumenti e le risorse adeguate a non farsene travolgere.

Se a tutto questo i nuovi “comandanti” dell’informazione più diffusa preferiscono il cabotaggio della manovra politica e di palazzo, nessuno tra noi ha forza e modo per impedirlo. Però sostenere che lo sguardo miope in passaggi simili penalizza molto più di quello presbite, beh, insomma almeno questo ci sia consentito pensarlo.  

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6 COMMENTI

  1. L’atteggiamento anomalo di gran parte della Stampa, piena di livore, contrasta ancora di più se si compara a ciò che avviene negli altri Paesi. Ogni giorno io do un’occhiata ad alcuni quotidiani esteri quali: Le Monde, El pais Financial Times. Anche in tali quotidiani si esercita la critica, ma senza alcun livore. Ciò però che più importa è che ogni giorno viene aperto un dibattito, ricco di idee, su ciò che ci aspetta finita l’emergenza. Riscontro invece nei nostri quotidiani un diluvio di critiche, senza mai che ci sia uno straccio di proposta, sulla quale aprire un dibattito, oppure qualche idea su come affrontare la grave crisi alla quale andiamo incontro. Siamo essenzialmente dei provinciali, nonostante qualche editore si voglia proporre come concorrente a livello internazionale.

  2. Gentile Cuperlo,
    che la stampa cosiddetta di “destra” attacchi il Governo è nell’ordine delle cose. Non mi aspetterei mai da parte loro un sostegno a Conte o al PD.
    Che la presunta stampa di “sinistra” attacchi il Governo, invece, è inconcepibile. Parlo di Repubblica, in primis, e via via tutti gli opinionisti, giornalisti che teoricamente dovrebbero essere di quell’area politica.
    Mentre il discorso dei quotidiani è abbastanza logico perchè il nuovo editore di Repubblica non è esattamente Marx (a tal proposito, auspico che la nuova creatura di De Benedetti possa in qualche modo riequilibrare l’intera informazione, Fatto Quotidiano a parte, schierata contro il Governo), diverso è invece l’atteggiamento degli opinionisti.
    Ricordo che quando il PD è stato all’opposizione dei giallo-verdi era accusato di scarsa opposizione. Ora che è al governo è accusato di scarsa incisione.
    La verità è che gli scontenti di professione e i lamentosi per natura ci saranno sempre. Basta fare orecchio da mercante e organizzarsi.

  3. Si, contro questo governo è evidente un atteggiamento ostile da parte dei media istituzionali, della rappresentanza datoriale, di certi intellettuali ed opinion leader…
    Considerando il contesto, la cosa mi indigna ma alla fine, saranno i cittadini quelli che saranno chiamati a giudicare. Dato che io sono uno di parte, non mi accontento che il PD sia dato oggi al 22% perché dimostra senso di responsabilità ed equilibrio tra un 5S da una parte, IV da una altra, LEU molto disciplinato. Io purtroppo non percepisco il disegno strategico del mio partito, il PD, costretto il più delle volte a giocare di rimessa, rispetto ad una agenda politica sempre imposta, o dai partiti dell’opposizione o da quelli della maggioranza. Io ho nutrito grandi speranze dal governo con i 5S in quanto credevo e lo credo ancora, che fosse necessaria una reciproca contaminazione ma vedo che la cosa si sta dimostrando molto complicata per l’assenza di una nostra chiara e incisiva agenda politica. E allora voglio sperare che IMMAGINA, in assenza del congresso, sia uno strumento che permetta, dopo i contributi e gli approfondimenti che voglio sperare ampi, una sintesi che indichi la rotta. Non c’è vento buono o cattivo se non si sa quale è la rotta da seguire. Io non sono un incendiario, sono nell’età che si diventa pompieri, ma se non sfruttiamo una situazione come questa per marcare una necessaria discontinuità, per affermare una nostra identità, quando?!

  4. Siamo in momento di crisi profonda del paese e stanno emergendo tutti i limiti della nostra classe dirigente nell’affrontarla. Classe dirigente di cui la stampa, gli intellettuali, gli opinionisti, ne fanno in qualche modo parte.
    Pur considerando che gran parte del flusso dell’informazione viaggia sui nuovi media, l’informazione su carta stampata e, ancor più, quella televisiva restano di primaria importanza e quindi, per comprendere il fuoco di fila che attualmente la stampa riserva all’esecutivo si deve capire l’attuale assetto dell’informazione cartacea e televisiva.
    Nel mondo dell’informazione, si sono stratificate tre categorie principali che io definirei in questo modo: “Generali senza esercito”, “Caporali” e “Vomitatori”. Gli ultimi sono quelli che utilizzano i loro giornali o gli spazi che gli sono messi a disposizione sui media per sparare sugli avversari politici della loro parte mistificando i fatti, manipolando le informazioni, fomentando odio, facendo leva su idee e pulsioni xenofobe e reazionarie che purtroppo sono presenti nella nostra società: il nemico è il diverso, l’immigrato, il meridionale, il sindacato, la sinistra, l’Europa germanizzata, ecc. I “Caporali” sono quei giornalisti che si adeguano acriticamente alle direttive ricevute dal loro editore-padrone per la tanto diffusa abitudine italiana del “tengo famiglia”. I “Generali senza esercito” sono quei giornalisti o opinionisti ai quali è riconosciuta una certa autorevolezza, che a volte deriva da indiscutibili meriti, a volte è sapientemente costruita nei media e nei talk show.
    Questi non dispongono di un proprio “esercito” nel senso che non sono a capo di un’organizzazione, un partito, un’associazione, ma si ritengono “generali” perché capaci di orientare l’opinione pubblica e con questo capaci di condizionare l’azione del governo, dei partiti, ecc. Cercano, cioè, di portare avanti le loro idee o quelle della loro classe di riferimento con le risorse degli altri.
    Intendiamoci, la critica al potere è legittima e molte volte necessaria ma, in questo momento di crisi che prelude a un cambiamento, questa parte dell’informazione sta giocando un’altra partita.
    Nell’immediato futuro sarà necessario riformare, ricostruire gran parte delle strutture e dei rapporti sociali di questo paese come ben evidenziato nell’articolo. In questo contesto l’attacco rivolto al governo ha principalmente il PD come obiettivo, che è visto debole nella leadership e nelle proposte, quindi si tenda di orientarne le scelte. Si tende a spezzare il debole accordo con i 5S cercando di riportare il tutto ai vecchi equilibri: un bel salvatore della patria e politiche che non intacchino i rapporti di forza esistenti nella società.
    Io credo che l’unico modo efficace per impedire che un’occasione per il rinnovamento del nostro paese si impantani in manovre di palazzo che condanneranno il nostro paese all’immobilismo e al definitivo declino, sia dotare urgentemente il partito di un programma e di politiche serie e incisive che partano dalle istanze concrete della società.
    Dopo decenni di inseguimento del centro e di sbiadite politiche senza una visione alternativa del mondo io credo sia urgente ridefinire l’azione della sinistra ancorandola alle dinamiche e ai conflitti reali presenti nella società. Non è il tempo di scelte ambigue, della politica del “ma anche”, è il tempo di scelte nette di campo.
    E’ necessario e urgente fissare pochi punti politici dai quale sia chiara la nostra idea per il futuro del paese e dell’Europa.
    Mi permetto di suggerirne alcuni:
    1) Definire una nostra idea di politica industriale e dei rapporti fra le parti sociali contrapposta alla visione regressiva e ottocentesca dei nuovi vertici di Confindustria;
    2) Definire una nostra politica di intervento riguardo la disoccupazione giovanile, che è sempre di più disoccupazione intellettuale, e sulle nuove forme di lavoro che producono nuovo sfruttamento;
    3) La nostra politica sui Beni comuni, sull’ambiente e diritti sociali (negli ultimi c’è stata forse più attenzione ai diritti civili sacrificando quelli sociali);
    4) La nostra risposta al sovranismo/neo-nazionalismo che si è appropriato falsamente di alcune battaglie e parole d’ordine che furono anche della sinistra; a questo non si può reagire con una generica accusa di fascismo ma semmai riportando il dibattito sulla vera natura del conflitto che non è tra nazioni ricche e povere, tra paesi cattivi e buoni, tra Europa e nazioni, ma tra lavoro e capitale, tra produttori e speculatori;
    5) Declinare la nostra idea di Europa, in un mondo che in un certo senso si sta de-globalizzando, indicando i riferimenti culturali, le politiche economiche, individuando in concreto gli obiettivi da raggiungere e i nostri alleati internazionali.

  5. Non è il caso di prendersela con la stampa, i limiti di questo governo sono evidenti e se non cade è solo perché non ci sono alternative… Ma quanto potremo andare avanti con un crescendo di sgambetti per puro protagonismo tra i componenti di questa strana coalizione e lo scenario economico e sociale che si prospetta nei prossimi mesi, necessità impellenti e progettualità per il futuro? Che fare e con chi?

  6. Cuperlo, il cui intervento mi trova in buona parte d’accordo, lamenta che questo governo – e con esso la maggioranza che teoricamente lo sostiene – sia attaccato duramente ad ogni pie’ sospinto in un momento drammatico e tragico allo stesso momento. Le cause dovrebbero essere note. Faccio un elenco provvisorio:
    – siamo da alcuni anni in campagna elettorale per cui il dibattito è finalizzato, particolarmente da destra ma anche da M5S e da IV, a catturare consenso;
    – il governo attuale nasce per la svolta “svelta” di Renzi dopo aver impedito nel 2018 un confronto politico con il M5S ;
    – appena nato con la foglia di fico dei 29 punti che Conte snocciola sotto forma di “cose che sarebbe bene fare”, non di un programma condiviso delle tre formazioni che lo sostengono. Non è un caso che qualche giorno dopo Matteo “lo svelto” fa la sua bella scissione puntando soprattutto a indebolire il PD per preparare una crisetta subito dopo l’approvazione della legge di bilancio . Obiettivo cacciare Conte e poi si vedrà chi lo deve sostituire…
    – il covid-19 ha già messo in atto il suo programma destabilizzante forse fin da novembre, ma nessuno se ne accorge; salta il piano Renzi anche se tenta di tenerlo vivo nel dibattito pubblico;
    – l’epidemia in Italia che diventa pandemia è sconvolgente e questo, nel clima politico italiano, favorisce tutti quelli che si preparano ad un colpo di mano. Intanto si lavora ai fianchi Conte e il suo governo;
    – emergono con evidenza le caratteristiche dirimenti del M5S a fare un governo di coalizione: E’ un movimento che nasce e si sviluppa sull’opposizione radicale e con promesse palingenetiche favorite dalla debolezza del centrosinistra soprattutto quando il PD viene intrappolato dal suo Segretario e Presidente del Consiglio che personalizza il referendum costituzionale (io non renziano della prima ora, l’ho sostenuto pur vedendo rischi e difetti);
    – veniamo ad oggi: nel paese e per lo sforzo esplicito di Salvinie con l’appoggio di Meloni e gli ondeggiamenti dei M5S, oltre che per la durezza del confronto nell’Unione Europea, una forte spinta per andarsene dall’UE e dall’euro. Questo diventa il vero terreno di scontro su cui il PD deve impostare una sua campagna elettorale in attesa di poter tenere elezioni anticipate: stare dentro l’UE per farla avanzare ad essere protagonista nel terribile scontro per l’egemonia nel mondo tra USA, Cina e Russia con attori in gioco libero come la Turchia di Erdogan, oppure uscirne, e qui viene il problema vero, per andare con chi e a che prezzo.
    Oggi l’Italia non ha una politica estera perchè è in una situazione caotica dove trovi i grillini che inseguono la Cina, Salvini che traffica con Putin, Meloni che si aggrega alla destra dura americana di Trump con card. Burke e con il faccendiere Bannon.
    Da ultimo c’è una debolezza istituzionale grandissima: il Parlamento è costituito da rappresentanti che il popolo ha dimostrato chiaramente (sondaggi ed elezioni amministrative) di voler cambiare radicalmente.
    Su questo ho postato un mio appunto prendendo lo spunto da quanto ha scritto Stefano Folli su Repubblica.
    Spetta al PD, facendo funzionare quel che rimane della struttura periferica, aprire un dibattito radicale nel Paese avendo a base le scelte di politica estera, poi subito dopo la conversione del decreto in via di pubblicazione prepararsi ad elezioni anticipate. Renzi non può stare per troppo tempo nel limbo del 2-3%, tenterà un colpo di mano per aprire la crisi. Ciò non esclude che ci provino anche i M5S perchè la loro sopravvivenza sta nel riproporsi forza di radicale opposizione anche se il loro Garante Grillo, l’Esistente, non si sa bene per che cosa esista ancora in politica.
    Buon lavoro-
    Franco Tegoni – Parma

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