La sfida del presente: i cittadini devono diventare protagonisti del cambiamento

Certo siamo al governo. Facciamo del nostro meglio, per quanto si può e come si può: ci mancherebbe! Ma può essere solo Governo? Questa pandemia interroga sul futuro. Che cosa vogliamo, come lo vogliamo, quando? Qui si apre un mare, ma grande; così grande che non si vede che acqua.

Non si può immaginare di riunire attorno a tavoli di discussione ministri, viceministri, sottosegretari, sindaci, eletti e iscritti, in un solo giorno, in una sessione e di lavoro che vuole “scrivere un nuovo futuro”. Certo, su quei tavoli ci saranno idee, suggestioni, ipotesi, persino sogni forse: spunti insomma. Ma poi? Solo qui, in questo contenitore, c’è molto, e di tutto.

Appunto, ma poi?

Come le videochat sono diventate un ottimo strumento di approfondimento, di conoscenza, di scambio, si rischia un vagare scomposto, non omogeneo. Certo ognuno mette in campo dialoghi sul tanto di cui ognuno di noi si interroga. Ma tutto rimane sospeso.

Allora mi domando e vi domando: qual e la strada da perseguire?

La mia militanza, dal PCI alla Cgil, oggi approdata ad un circolo PD di Milano, dopo una lunga interruzione lavorativa, ma anche di dissonanza ideale, che mi ha sempre comunque fatto gravitare sempre lì dintorni, mi interroga sul senso di una militanza, sul chi e cosa rappresento, con la mia esperienza di vita, la mia cultura, i miei limiti.
So solo che il mio vivere dentro un quartiere di questa Milano, dentro associazioni di cittadinanza attiva, mi fa toccare con mano una condizione sociale, abitativa, commerciale, economica, imprenditoriale, di servizi, commercio, scuola, anziani, stranieri. Questa mia partecipazione, questa mia militanza, a che cosa servirebbe se non a portare una mia visione, a raccogliere orientamenti, bisogni, speranze e preferenze di una comunità? Soprattutto se è vissuta in un confronto, in una partecipazione e una conoscenza, in una elaborazione di proposte e pensieri.

Farsi portatore di questa sintesi, per quanto possibile “dirigerlo”, da senso alla mia militanza, che non rappresenta solo me stesso, ma è riconosciuta da una comunità.
E non ho bisogno di stellette, di titoli, di fare parte di un organigramma. Ho bisogno di interlocutori che, nella stessa maniera rappresentino comunità – questo forse è lo stare nelle “periferie”, indipendentemente dal fatto che queste siano collocate alla periferia di una città, o in zone interne dell’Appennino o della pianura -. Cosa che credo, tra l’altro, dovrebbe essere uno dei criteri di selezione della nostra classe dirigente e dei nostri eletti.

Ma allora: tutta questa tiritera, per dire e fare che cosa?

Avere semplicemente la possibilità di portare una voce nell’elaborazione di un futuro di questo nostro paese. Ho parlato in prima persona, ma quanti iscritti e militanti sono costretti a prendere atto e non a partecipare?

Ecco il qualcosa che non torna.

Ma perché allora non coinvolgere i circoli in una partecipazione attiva alla costruzione di un progetto, di un’idea di futuro? Abbiamo ancora tra di noi la generazione che ha ricostruito questo paese dopo la guerra, anche se decimata da questo virus e, diciamocelo, dalla incapacità o, addirittura malafede, della gestione della sanità. È quella generazione sa bene chi erano Gramsci, Gobetti, Einaudi, Croce, Bobbio, Di Vittorio, Don Sturzo, Mattei, Olivetti, ecc, ma anche Pavese, Levi, Rigoni Stern, Berto, D’Arso, Scotellaro, Vittorini, e gli altri poi giù fino a Dante, Petrarca, ai Vangeli, alla Bibbia e ancora.

Che c’entra?

Anche quello serve, anzi è necessario, per saper dire e rappresentare una comunità è una nuova visione di futuro. Siamo un paese di vecchi. Certo serve sapere anche di Keynes, di Bauman, di Henry-Levy, Benevolo, Brandi, Nervi, Piano, ecc. Dunque farsi carico della responsabilità di far emergere la voce di una comunità, saperla coinvolgere, partecipare ad un progetto di futuro.

Ma da dove partire: quali i temi?

Possiamo ancora permetterci una organizzazione dello Stato così com’è ora? Stato, Regioni, Province, Citta Metropolitane, Comuni, consorzi di ogni genere, autorità di ogni tipo? Oltre ad una sovrastruttura decisionale borbonica, spesso si legifera in modo contraddittorio, contro addirittura alle leggi generali dello Stato. Che dire di Lodi e dell’idea di distinguere tra italiani e cittadini di origine extraeuropea, per somministrare la mensa agli alunni? Che dire dello stesso criterio adottato a Sesto San Giovanni per l’accesso ai bandi delle case popolari? E il ricorrere dei cittadini alla magistratura per cercare di risolvere queste assurde discriminazioni e storture, senza che intervenga lo Stato? Che dire della somministrazione e accesso alle cure di Regione Lombarda? Che dire dell’esclusione dalle decisioni delle aree interne, dei piccoli e medi paesi, dove i servizi mancano o sono scadenti? Che dire sul trasporto pubblico su ferro e su gomma dei pendolari? Che dire della cura e dell’assistenza ai disabili, agli infermi, scaricata in gran parte sulle famiglie? Che dire della casa e del consumo del suolo, della gestione delle acque dei fiumi e dei laghi, della custodia e sistemazione del territorio e delle coste? Che dire dello smaltimento dei rifiuti, del riciclo e dell’economia circolare? Che dire dell’idea di case popolari a fronte dell’housing sociale? Che dire della scuola e dell’Università, che al di là della giusta retribuzione, dell’organizzazione del personale docente, della necessità di una sua formazione continua, ha la necessità di una revisione e di un aggiornamento dei programmi? Che dire ancora di una scuola sospesa dalla pandemia, senza l’idea di pensare ad una soluzione per i più piccoli, mettendo a disposizione gli stabili delle scuole superiori, che faranno lezioni via web, per consentire di accogliere i più piccoli in sicurezza? Che fare poi con le scuole professionali e le altre che sono incentrate sui laboratori? Che dire della sanità? Che dire degli appalti al minimo ribasso e di tutte le certificazioni da produrre per avviare un cantiere, una gara d’appalto? Che dire del welfare? Che dire del mondo del lavoro e dei suoi mille contratti? Che dire della fiscalità, che consente di portare la sede legale nei paradisi fiscali europei, evadendo le tasse nel paese di produzione? Che dire dell’agricoltura e dell’allevamento intensivo, dei diserbanti e fertilizzanti usati, dell’abbandono o delle difficoltà dei piccoli produttori, spesso favorendo poi i grandi e la grande distribuzione? Che dire delle regole della pesca, dell’artigianato, dei negozi di contiguità? Che dire dell’immigrazione, dei corridoi umanitari, del salvataggio in mare, dell’integrazione? Che dire della giustizia? Che dire della rappresentanza sindacale? Che dire?

Mi fermo! Si potrebbe scriverne un tomo, come un vocabolario.

C’è molto da fare. Il lavoro sarà lungo. Si dovranno scegliere le priorità. Qualcuno sta ipotizzando soluzioni interessanti, di partecipazione diffusa, di un’idea di società basata sull’attenzione alle persone, sulla solidarietà, sul mutuo soccorso. Ma poi va coinvolto il sindacato, gli insegnanti, la cultura, i medici e il personale della sanità, le universita, i ricercatori, gli imprenditori che innovano, gli enti e le società partecipate dallo Stato, gli intellettuali, le religioni, gli immigrati e le loro comunità’, i sindaci, eccetera.

È davvero un lavoro lungo, grande, che ha bisogno del coinvolgimento del meglio e di chi ne sa, ma anche dei molti che rappresentano comunità, che va aggiornato in continuazione, che ha bisogno di vivere la società e la comunità per il bene comune e non per gli interessi di parte. Questo ci tocca, e su questo dobbiamo essere in grado di misurarci. Non è il libro dei sogni, è il futuro di un paese e di una comunità. Assumersi la responsabilità di rappresentare comunità di cittadini, con le più svariate estrazioni sociali, culturali, economiche, ideali, spirituali e morali, per fare la qualità del nostro agire politico. Chiamare il paese a dibattere, a misurarsi con questo progetto di futuro, dovrebbe diventare la nostra storia.


Alessandro Senaldi, direttivo del Circolo PD Bovisa Dergano di Milano.

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