L’estrema destra e il virus della guerriglia: ecco come e perché si diffonde. Parla Massimiliano Coccia
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Roma, Milano, Torino, Napoli. Le scene di guerriglia urbana rimangano impresse negli occhi e nella mente. Scontri tra manifestanti e forze dell’ordine. Lancio di bottiglie sulla polizia, cassonetti dati alle fiamme e auto vandalizzate. E poi tafferugli e lancio di molotov. Il canovaccio sembra ripetersi nelle diverse città. Tutto inizia con la pacifica manifestazione di ristoratori e commercianti contro le chiusure anticipate e le norme anticovid per poi degenerare in manifestazioni cavalcate da gruppi di estrema destra che scendono in piazza con l’intento di creare scompiglio.
Ma chi sono e perché questi gruppi si comportano così? Massimiliano Coccia,  giornalista romano de L’Espresso da anni segue e racconta i retroscena dei gruppi ultras e su questo ha un opinione molto netta.

Massimiliano, innanzitutto chi sono e come si muovono i gruppi ultras?
“Intanto vorrei fare una doverosa premessa. Quando parliamo di antagonismo di estrema destra e di gruppi di ultras ci troviamo di fonte a delle entità che vivono una crisi molto forte. La struttura di queste aggregazione prima del Covid si reggeva, dal punto di vista economico, sull’organizzazione del tifo (trasferte, merchandising non autorizzato, rapporti con le società rispetto le curve) e, dall’altra parte, il sistema criminogeno si appoggiava a questi gruppi per presenziare e controllare il territorio. La storia dell’omicidio di Fabrizio Piscitelli, alias Diabolik è questa. Era uno dei capi degli Irriducibili, gruppo di ultras della Lazio che domina la curva Nord dello stadio Olimpico ed era vicino a Forza Nuova. Quello di Diabolik era un ruolo importante di mediatore, insieme ad altri personaggi, sia nell’approvvigionamento di molte piazze di spaccio romane assai importanti per il volume d’affari, sia nella garanzia di certi equilibri tra di esse. Ora quella doppia identità speculare, come dicevo, entra in crisi”.

Quindi quel modello, col Covid, non è più sostenibile?

“Esattamente. Il serbatoio di manovalanza è venuto a mancare e il tentativo di questi movimenti è quello di lanciare il sasso nello stagno, cioè far partire delle azioni destabilizzanti che diano il via ad una eco diffusa anche ad altri livelli. In buona sostanza, da un parte si sta cercando di serrare le fila per intestarsi e capeggiare un dissenso generalizzato per attaccare le istituzioni e accreditarsi anche con forze più organizzate sia finanziarie che criminali, dall’altra parte si cercano nuovi bacini di sostegno, in modo da poter essere più influenti nel perseguimento di propri obiettivi”.

Ieri a Roma sono andati in scena violenti tafferugli. Protagonisti esponenti di Forza nuova che questa volta non si sono nemmeno infiltrati. C’è uno scatto nell’atonomia della protesta?

“Quello di ieri sera è un copione abbastanza consolidato nell’eversione nera di piazza a Roma. Lo avevamo già visto al Circo Massimo ad inizio di giugno, quando ‘I ragazzi d’Italia’ sempre capitanati da Giuliano Castellino misero in atto lo stesso copione di ieri sera. Roma rappresenta una diversità imponente nel panorama nazionale, una sorta di laboratorio che non può essere sottovalutato nella sua complessità e in quello che può rappresentare. Castellino e Forza Nuova sanno che destabilizzare Roma significa dare l’idea di attaccare l’intero Paese”.

Ma le piazze sono tutte uguali?

“Ogni piazza ha interessi differenti. Roma, Milano, Torino, Napoli sono situazioni assolutamente da non accomunare leggendole sotto un’unica regia. Ogni piazza ha però i propri pezzi di disagio che vengono attratti e trovano facile sfogo in proteste di questo genere. L’emergenza sanitaria da Covid-19 si è trasformata in una emergenza sociale, economica, occupazionale e infine di ordine pubblico. E c’è chi di tutto ciò sta approfittando. La cultura dell’antistato e la strategia della tensione trovano da sempre nei momenti più tragici della nostra storia terreno fertile. La frustrazione e la rabbia sociale sono una miccia che qualcuno ha interesse ad accendere. E’ questo il tratto comune che lega Roma a Milano, Torino a Napoli. Un filo invisibile da non ignorare”.

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