Una battuta d’arresto, una battaglia da fare
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E’ nato il governo Draghi. Un governo d’eccezione, come chiesto dal Presidente Mattarella, che risponde alle emergenze del momento. Un governo che dovrà affrontare gravi sfide, a cui va il mio augurio di buon lavoro.

Un governo in cui siedono tre autorevoli e capaci ministri del Partito democratico, che sicuramente faranno bene.

Ma è una ferita, l’ho dichiarato appena appresa la lista dei ministri, che siano tutti uomini, che nessuna democratica sieda a quel tavolo. Una novità per questo partito: al restringersi delle postazioni, le donne sono venute meno. Un esito annunciato da tanta stampa nei giorni precedenti, nonostante in tutte le occasioni, riunioni degli organismi, prese di posizioni pubbliche, il PD abbia parlato di equilibrio di genere da garantire nella compagine governativa. Ma di fatto nelle figurine dei giornali comparivano per i partiti progressisti e di sinistra quasi solo maschi, nonostante ci siano autorevoli donne fuori e dentro il parlamento e nello stesso governo Conte due.

E’ un dato politico, che brucia. Come lo è il fatto che in questi mesi è stato prodotto dalle democratiche e da tante donne della associazioni e della società un lavoro importante attorno al Recovery Plan. Sono nate piattaforme, proposte condivise trasversalmente. La sensazione è che neanche questo abbia contato nella composizione dei profili individuati e dei numeri del governo. Ci sono donne autorevoli, cosiddette tecniche e politiche, ma complessivamente sono poche, in una squadra di 23 ministri sono otto, di cui solo 3 sono a capo di un ministero con il portafoglio. Anche questo brucia.

Per quel che riguarda noi, democratiche, brucia per il lavoro fatto in questi sei mesi di esistenza della Conferenza. Abbiamo ridato vita al luogo autonomo e scommesso sulla nostra autonomia. Sapevamo che era una strada difficile, che mette in discussione la costituzione materiale di un partito strutturato per correnti, i cui leader sono tutti maschi.

Lo avevo detto nel mio intervento in direzione giovedì scorso, siamo entrati in questa legislatura non solo con il PD isolato e al minimo storico, ma anche con la macchia delle pluricandidature femminili. Donne messe in più liste per dimettersi e lasciare spazio a uomini. Grazie alle nostre iniziative in soli sei mesi, nella temperie della pandemia e nelle difficoltà del momento, questa Conferenza appena rinata ha faticosamente ricostruito una credibilità delle democratiche. Sicuramente è stato fatto un lavoro programmatico che ha pesato e ha segnato il Partito democratico, che è una risorsa per tutte e tutti. Un lavoro che dovrà vivere nell’interlocuzione con le scelte di questo governo e nell’agenda parlamentare. Ma non possiamo nasconderci che quella di oggi è una battuta d’arresto.

C’è un’enorme battaglia da fare sulla forma partito, sulla selezione dei suoi gruppi dirigenti e sul nostro modo di stare insieme. Va fatta in maniera aperta e trasparente, insieme a quella sui contenuti e sull’agenda di Governo, insieme ai movimenti e alle associazioni delle donne, per cambiare il Pd, la politica e la società italiana.

Cecilia D’Elia è portavoce della Conferenza nazionale delle democratiche

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1 COMMENTO

  1. Secondo me la questione della partecipazione delle donne alla vita del PD è importante quanto la questione di una maggiore partecipazione e di una giusta rappresentanza di tutti gli iscritti al partito. E’ una questione di democrazia che riguarda, oltre alle donne, anche gli uomini.
    In un certo senso, il fatto che la questione venga posta ora è anche un segno dei tempi: non fu posta al momento della formazione del governo Conte 2 (6 ministri PD uomini e una sola donna). Io tendo a pensare che la scelta dei tre ministri l’abbia fatta Draghi (su sette ministri del PD ne ha tenuti tre: tutti uomini perché alle Infrastrutture ha messo un “tecnico”, Giovannini). Quindi non parlerei di “un dato politico, che brucia”. Parlerei di una questione generale, di più ampio respiro (come avviene, nel PD, la scelta dei “dirigenti” e delle posizioni di responsabilità? Qual è l’organizzazione del partito?), perché lo scopo dovrebbe sempre essere di avere le persone migliori ai posti di maggiore responsabilità, e anche di realizzare un confronto costante con la “base”, a cui tutto sommato dovrebbero poi rendere conto (altrimenti, a chi rendono conto?). Insomma non parlerei di quote rosa, ma di trasparenza e di maggiore democrazia interna.

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