Noi, Loro e la Terra di Mezzo. Proposte per un Congresso post-pandemico

Era il 1994 quando Jovanotti passava in radio cantando: “Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa / Che passa da Che Guevara e arriva fino a Madre Teresa / Passando da Malcolm X attraverso Gandhi e San Patrignano / Arriva da un prete in periferia che va avanti nonostante il Vaticano”. Parole che, nel clima di fresco bipolarismo della neonata Seconda Repubblica, stimolarono la fantasia di alcuni (i Gemelli Ruggeri alla Festa dell’Unità di Bologna ne fecero una parodia in salsa pidiessina) ed effettivamente in qualche modo anticiparono l’operazione dell’Ulivo.

Quasi tre decenni dopo i protagonisti di quei versi appaiono icone del secolo passato, mentre la San Patrignano di Muccioli (che comunque era una realtà molto diversa rispetto a ciò che è oggi) è diventata un ottimo soggetto da documentario Netflix. Il progressismo è invecchiato male? Macché, è il corso fisiologico del tempo: la storia si appropria della memoria e la decostruisce, analizza luci e ombre, ne smorza il potere mobilitante. La sensazione però è che in tutti questi anni si sia decostruito tutto il decostruibile.

Detto in parole povere: non di soli ricordi può vivere una comunità politica, perché poi questi sbiadiscono. Bisogna essere prima di tutto comunità d’intenti, con una missione da realizzare nel mondo che sia abbastanza chiara e precisa da delimitare tre insiemi: chi nella mission ci crede e si batte perché diventi realtà, chi vi è irriducibilmente ostile e va sfidato sul campo con gli strumenti della democrazia, chi vi è indifferente e dunque può essere guadagnato alla causa (caveat: ci vuole tanta comunicazione e credibilità).

Insomma: Noi, Loro e la Terra di Mezzo. Potrebbe essere un bel titolo per il Congresso invocato da più parti in questi giorni (Orfini, Bettini, Cuperlo). E ben venga un’assise post-pandemica, ma a patto che non diventi una resa dei conti tra correnti, un assalto alla diligenza del Nazareno. Non gioverebbe a nessuno. Quel che serve invece è una fucina di discorsi appassionati, snelli, che con le parole riescano a disegnare il futuro che vogliamo nelle menti di chi ascolta.

A proposito, che futuro vogliamo? Questo dovrebbe essere il cuore del dibattito pre-congressuale. “Gimme One Vision”, cantava Freddie Mercury: datemi una visione. Potrebbe essere l’inno del Congresso, sull’onda lunga del revival di Bohemian Rhapsody. C’è stato un momento in cui si è creduto che il successo politico passasse dai bravi affabulatori. No. La politica (ma ormai è così anche per l’impresa) ha bisogno di persone che sappiano comunicare con efficacia una visione del futuro. Perché Papa Francesco conquista credenti e non credenti? Perché ha un progetto ben preciso della Chiesa che vorrebbe e del suo posto nel mondo. D’altronde i gesuiti per lo spirito missionario hanno un certo know-how. Ma sostituite al Papa qualunque altro grande trascinatore. Barack Obama, Bill Gates, Greta Thunberg: mutando l’ordine dei fattori il risultato non cambia.

Qui si giunge al punto finale della questione: il Congresso deve essere un portone spalancato alle energie nuove. Esiste una grande Italia della Solidarietà composta da più di 100 mila imprese sociali, in cui lavorano quasi 2 milioni di persone erogando servizi ad un terzo e più della popolazione italiana. Esistono oltre 350 mila enti del terzo settore tra associazioni, cooperative sociali, fondazioni, mutue, enti ecclesiastici e società di vario genere, che contano su 850 mila dipendenti e 5 milioni e mezzo di volontari per combattere le diseguaglianze e l’emarginazione.

Lasciate che siano loro a condurre i tavoli, a prendere il microfono, ad indicarci la strada. Il compito della politica sarà quello di costruire una casa ampia e spaziosa per questo popolo, raccoglierne le istanze facendole uscire dal ristretto perimetro del lobbying per forgiare su di esse la visione del futuro che ci serve per abbracciare gli anni Venti. Su questa capacità bisognerà selezionare nel corso degli anni il fisiologico rinnovo della classe dirigente.

Immaginate qualcosa del genere, con la campagna vaccinale quasi al nastro d’arrivo e la consapevolezza di esserci finalmente riappropriati della libertà di progettare le nostre esistenze tornando finalmente a vivere, anziché sopravvivere. Altro che Congresso, sarebbe una rinascita.

1 COMMENTO

  1. Quale futuro vogliamo?
    Il dibattito interno (ma esiste ancora?) è ridotto ad uno scontro tra correnti e non ha niente di costruttivo se non tattica per andare al governo comunque e con chiunque. Una prima verifica dovrebbe riguardare se esistono ancora ragioni per stare insieme. Inoltre la società domanda chiarezza di posizioni che rendono superata la cosiddetta vocazione maggioritaria e la politica del ma anche. Prima lo capiamo e meglio sapremo affrontare una necessaria rifondazione. Va bene la valorizzazione del terzo settore ma fondare la nostra visione del futuro solo su quello mi sembra alquanto riduttivo.

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