L’otto marzo perché ogni giorno “lotto”
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La pandemia grida che le donne stanno salvando vite e pianeta eppure economie e potere stanno punendo loro. Se sai ascoltarle però capisci che tantissime usciranno cambiate dal lungo inverno Covid 19. Conferma un’inchiesta Swg che il 57% vuole un cambiamento per la propria vita. Poi ognuna lo interpreta alla sua maniera, così come a proprio modo ha vissuto e sta vivendo questa infinita malattia mondiale.

Dunque se qualcosa di buono il virus malefico lascia, è la crescita del senso di sé delle donne, una diffusa ribellione a uno status quo ingiusto e intollerabile. Tutto questo attraversa le generazioni, coinvolge le giovani donne e le ragazze meno piegate alla sfiducia dei loro coetanei maschi. Ci sorprenderanno e io dico che bellezza essere sorpresi sempre che in quel momento ci sia un partito in cammino nella sua rifondazione, aperto a un movimento democratico, capace di una Costituente di idee e di una classe dirigente adeguata.

Ieri per una giornata le giovani democratiche hanno rideclinato il femminismo. Dovevo collegarmi un’ora e non riuscivo a staccarmi. D’altronde sono donne Greta, le mobilitazioni a Verona, Giusto Mezzo, Non una di meno, espressioni culturali, artistiche. Manifestano le lavoratrici per difendere aziende e famiglie o trovarlo un lavoro. Sono donne le volontarie, le eccellenze nella ricerca e le migranti. Donne nei centri anti violenza, mediche e infermiere negli ospedali.

Non ho mai smesso di onorare l’8 marzo. Mi viene da sorridere se in troppi e anche qualcuna lo retrocedono a anticaglia o a una ricorrenza floreale. Io avevo simpatia anche per le pizzate tra amiche dove imparavo che per qualcuna di loro era una delle rare pause di fuga e di complicità. Le più pressate dalle fatiche, le meno privilegiate, si mettevano in ghingheri, ognuna come le pareva, un po’ come un respiro di liberazione. Adesso chiuse dove siamo, possiamo solo disegnarli i brindisi, i cortei e le chiacchiere ci mancano. Si intuisce come la solitudine sia lo spazio più frequentato.

Il virus non ha confini, adesso neppure di età, però è classista perché viverlo nelle code della Caritas è molto diverso che altrove. Era il sette marzo di un anno fa quando il lock down si impadroniva di città e persone. Il giorno dopo, l’otto appunto, qualcuno riuscì a rimproverare una generazione che cercava di tornare al Sud. Forse si doveva capire l’ansia di chi vedeva interrotte le lezioni in università, perdeva un guadagnino come barista o stagista in eventi cancellati e però aveva addosso l’affitto pesante in una bella, tanto desiderata, quanto costosa Milano. Per qualche settimana la musica dalle finestre inteneriva mescolandosi all’angoscia per le bare di Bergamo e alla sofferenza delle Case di riposo.

Questo lunedì sono circa 100.000 le vittime. I colori hanno cambiato di senso. Il giallo non è delle mimose però più propizio del rosso, che per un secolo significava un’altra cosa. L’arancio prende diverse sfumature. Eppure le acrobate sono sempre più le stesse. Donne che cercano di fare tornare tutto, conti di fine mese, cottimo mascherato come smart working, due figli e un computer con la banda che spesso non prende, l’incertezza della scuola, l’orario della telefonata ai nonni che di quella chiamata vivono, il partner più nervosetto. Per altre il buio è pesto, fatto di pestaggi.

Per tutte l’attesa della vaccinazione perché appunto come dicevo, in tante si promettono, giurano su una ripartenza. Allora il 50% riprende il suo senso profondo, quello di una rivoluzione iniziata con la modernità e incompiuta, una chance per ricostruire e farla finita con una dose immorale di diseguaglianze. “Arriveremo a Roma” dicevano i fanatici fondamentalisti e invece è stato Papa Francesco ad andare a Mosul. Per noi è un poco così. Molti si diranno, passerà l’ondata dell’orgoglio femminile, intanto scegliamo noi una quota da regalare. No, arriveremo, arriveranno le donne a scegliervi, a cambiarvi, a mutare istituzioni, poteri, economia, media e partiti, anche il nostro. E una raccomandazione per le naviganti, lo si può fare se le differenze si uniscono e se la concretezza non rinuncia a solidarietà e a utopia. Per me è quella dei diritti umani indivisibili e globali – politici, civili, sociali.

Sono sorelle le donne a Minsk, in Birmania, in Polonia e in tante guerre dimenticate, che difendono la democrazia. Abbracciandoci a loro potremo mettere il mondo sotto sopra, si intende dalla parte giusta e così allargare la dignità di tutti.

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