L’anonimato controllabile: il digital yuan nuova “arma” geopolitica di Pechino

Tra il 4 e l’11 marzo a Pechino si sono svolte le due sessioni, l’appuntamento più importante dell’anno politico cinese. Ancora una volta il digitale è stato al centro del dibattito poiché nel conseguimento di una strategica autosufficienza tecnologica, in particolare nell’ambito dei microchip, Xi individua il passaggio chiave per il successo delle mire imperiali del Dragone. Nell’ambito della strategia cinese alla supremazia digitale, oltre all’AI e al quantum computing, un ruolo importante è giocato dalla digital currency.

In verità, seppur con ritardo rispetto a Pechino, la tendenza a sviluppare mezzi di pagamento digitali è un trend mondiale. Diverse autority, ragionando sul successo del bitcoin, stanno infatti ipotizzando lo sviluppo di valute digitali (le cd Central Bank Digital Currency – CBDC). La BCE ad esempio nel luglio del 2020 ha confermato che si va verso l’euro digitale e allo stesso modo ne comincia a parlare la FED USA. In questa gara la Cina, con il suo yuan digitale è però più avanti di tutti. Il progetto è iniziato nel 2014 e piccoli controvalori di valuta digitale già circolano in fase sperimentale nel paese.

L’obiettivo di Pechino è triplice: contendere al dollaro il ruolo di moneta di riferimento per gli scambi internazionali, favorire la penetrazione cinese in Africa e Asia e, infine, utilizzare i meccanismi alla base di tali tecnologie per accrescere la capacità di controllare, mappare e orientare i criteri d’acquisto, bisogni e “simpatie” di vasti strati di consumatori in tutto il mondo. L’utilizzo dual use, interno ed esterno della valuta digitale, rappresenta quindi un elemento primario nella grande strategia cinese. Per una panoramica completa sul tema ho recentemente redatto un’analisi per gli IAI Papers, dell’Istituto Affari Internazionali dal titolo: Blockchain statale e yuan digitale: “game changer” di Pechino nella competizione imperiale con gli Usa?

LA RICETTA CINESE PER L’ANONIMATO CONTROLLABILE

Se la filosofia bitcoin nasceva sulla base del paradigma dell’anonimato e della non alterabilità delle transazioni garantita dalla blockchain, con lo yuan digitale tali elementi rimangono teorici. Laddove infatti la sperimentazione andasse a buon fine, il pervasivo sistema di controllo messo in piedi dal PCC avrebbe fatto definitivamente centro, andando a colmare l’ultimo miglio che separa il governo centrale dalla conoscenza dei bisogni, dei gusti e degli orientamenti dei cittadini del dragone e di tutti i paesi che lo andranno ad adottare. A quel punto un’azione repressiva o di incoraggiamento, avrebbe la capacità di agire in termini di micro targeting, ovvero fin sul singolo individuo. L’aspetto dell’anonimato controllabile, espressione coniata da un alto funzionario della PoBC (la Banca Centrale cinese), unito alle tecnologie di tracciamento, alla diffusione di telecamere di riconoscimento facciale e, soprattutto, al sistema dei crediti sociali, permetterebbe a Pechino di fare vere e proprie operazioni di ingegneria sociale su scala massiva.

Il medesimo pericolo esiste, ben inteso, anche in occidente. L’ingegneria sociale è operata anche le big tech della Silicon Valley (si veda il film The Social Dilemma) e, del resto, non sorprende la pervicacia con cui Zuckerberg sta spingendo per creare la sua diem. Tuttavia, in occidente esiste lo stato di diritto e da più parti, soprattutto in Europa, si dibatte su meccanismi per limitare (e tassare!) le big tech. Si vedano in tal senso anche le proposte del segretario Enrico Letta su tech tax e cittadinanza digitale.

LA PROIEZIONE GEOPOLITICA DELLA NUOVA MONETA: OBIETTIVO AFRICA

Obiettivo cinese è rilasciare la nuova valuta per le Olimpiadi Invernali del 2022 per poi promuoverla in chiave di volano per internazionalizzare del renminbi, invertendo così la dipendenza dal dollaro e dal sistema SWIFT sotto controllo USA. Lo scorso mese la Cina si è accordata con Hong Kong, Thailandia ed Emirati Arabi Uniti per testare i pagamenti transfrontalieri in digital yuan, utilizzando la tecnologia blockchain per la validazione dei contratti. Parallelamente Huawei nel suo nuovo Mate-40 ha installato un portafoglio digitale per lo yuan digitale.

L’internazionalizzazione dello yuan digitale rappresenta quindi un’arma geopolitica per Pechino, soprattutto in chiave Africa, l’ultima regione del pianeta a non aver ancora avviato con decisione la via dello sviluppo e che ben si presta alle narrazioni cinesi a causa del suo sub strato culturale post coloniale, in cui il soft power di Pechino fa molta presa.

In Africa la gran parte delle infrastrutture internet (70% delle stazioni di reti 4g sono Huawei) e dei telefoni sono di fabbricazione cinese (la gran parte di Transsion con tanto di app cinesi preinstallate). In futuro i telefoni prodotti per l’Africa avranno wallet preinstallati per i pagamenti in digital yuan. Inoltre, già nel 2018, le banche centrali di 14 paesi africani hanno discusso con Pechino di usare lo yuan come valuta nelle riserve nazionali.

In questo quadro non solo gli USA, ma anche la UE rischiano di rimanere fortemente indietro e, non solo, rischiano anche di compromettere la propria capacità di tutelare la privacy e i dati dei propri cittadini che in futuro, per ragioni di business o di turismo, si troveranno ad avere in uso la valuta cinese.

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Massimiliano Frenza Maxia – Laurea Magistrale in Storia e Società (Università Roma Tre), Master in Geopolitica e Sicurezza Globale (Università Roma La Sapienza). Senior Business & Management Development nella principale realtà del Private Banking italiano. Independent scholar e analista in geopolitica e sicurezza su temi legati agli impatti della digital transformation e alla comunicazione strategica

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