Putin e la questione ucraina: la Russia verso l’annessione del Donbass?

Nelle ultime settimane, circostanza facilmente verificabile anche dai rimandi dei social media, ingenti forze russe si stanno concentrando al confine con la regione del Donbass e in Crimea. Sui social, prima ancora che la stampa internazionale andasse a verificare, si sono viste colonne russe in marcia verso il confine, elicotteri spostarsi verso basi avanzate, treni carichi di blindati e concentrazioni di flottiglie nel Mar Nero.

Si segnalano inoltre strani disturbi sulle frequenze radio e Mosca ha annunciato che causa covid sono sospesi i voli per la Turchia (la linea Mosca-Istanbul passa proprio sul Donbass). Mosca parla di esercitazioni ma, con tutta evidenza, si tratta di altro. Nella migliore delle ipotesi di una concentrazione di forze volta a scoraggiare la volontà ucraina di accelerare nel processo di adesione alla Nato, nella peggiore di una avvisaglia di un prossimo intervento in soccorso delle popolazioni russe del Donbass.

La dialettica russa è quella tipica di queste situazioni, la nazione madre che ha a cuore i propri figli rimasti in territori oltrefrontiera, a causa di inique spartizioni territoriali dettate da logiche di realpolitik subite in un momento di debolezza, ovvero negli anni della dissoluzione dell’Urss.

CORSI E RICORSI

La questione ucraina, già ad evocarla, rimanda ad altre famose “questioni” della storia del ‘900 come quella dei tedeschi rimasti nei territori cechi o polacchi a seguito del Trattato di Versailles o quella dell’Istria e del Tirolo nell’Italia del 1915. L’elenco potrebbe essere lunghissimo. Un fatto innegabile è che la seconda stagione dell’era putiniana, la prima fu dedicata al ristabilimento dell’ordine interno, è dedicata a due costanti:

  • riaffermare la Russia come player mondiale e non più solo regionale, in un contesto in cui a Mosca alla parola multilateralismo si preferisce di gran lunga quella di multipolarismo;
  • recuperare i territori perduti e quindi acquisire profondità strategica verso ovest, ricacciando indietro la Nato.

Nell’era di Putin la Russia è stata impegnata in diverse azioni in relazione ad entrambi gli obiettivi precedentemente enunciati:

  • operazioni di disturbo del dibattito democratico in occidente, mediante campagne di influenza e disinformazione a mezzo social media, operazioni di spionaggio e omicidio messe in atto dalle diverse agenzie di sicurezza, azioni di cyberwar, interventi indiretti in diversi conflitti, spesso tramite il gruppo Wagner, in scenari quali Siria, Libia, Repubblica Centrafricana, Mozambico e Venezuela. L’insieme di queste azioni è classificabile nell’ambito di ciò che viene definito “guerra ibrida”;
  • interventi diretti in Cecenia e Georgia, Donbass e Crimea per riaffermare il potere sullo spazio ex sovietico. Nel 2014, è ormai accertato, truppe regolari russe seppur senza insegne, i cd “omini verdi”, sono intervenute nelle crisi del Donbass, a Luhansk e Donec’k e quindi in Crimea.

DAGLI ACCORDI DI MINSK AL RISCHIO DI GUERRA

Nel Donbass l’intervento russo, seppur non dichiarato, ha favorito la nascita di due autoproclamate e non riconosciute repubbliche indipendenti, la Repubblica Popolare di Doneck e la Repubblica Popolare di Lugansk.

A seguito del conflitto e degli accordi di Minsk del 2015, una trattativa era stata impostata sulla cd formula Steinmeier (dal nome dell’ex ministro degli esteri tedesco), che prevedeva prima libere elezioni nelle regioni non più sotto controllo ucraino (validate da osservatori Osce) e quindi la concessione di uno status autonomo speciale, con parallelo ritorno sotto l’autorità di Kiev. Mosca è rimasta ferma su queste posizioni che le garantiscono nei fatti una conferma dello status quo e quindi un’influenza diretta su quelle regioni, mentre a Kiev con l’avvento dell’era Zelensky ha inaugurato una nuova dottrina strategica indirizzata a porsi in orbita Nato, complice anche il cambio di politica inaugurato da Biden, meno tollerante di Trump rispetto al modo in cui Mosca intende le relazioni internazionali.

L’Ucraina rappresenta la culla della civiltà russa e il bacino minerario del Donbass ucraino l’elemento a maggior valore strategico. Difficilmente Mosca vi rinuncerà.

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Massimiliano Frenza Maxia 

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