Lo Statuto dei lavoratori compie 51 anni

L’idea di fondo alla base dell’approvazione dello Statuto dei lavoratori fu quella che i diritti del lavoro avrebbero aiutato la democrazia italiana a crescere: le persone a lavorare in dignità e sicurezza, le imprese a competere sulla qualità.

Oggi lo Statuto del lavoratori ha oltrepassato la maturità dei 50 anni e la rivoluzione digitale, accelerata dal Covid ha cambiato i processi produttivi e il lavoro.

In questi giorni la cronaca ci ha raccontato una lunga sequenza di storie che non fanno onore ad una democrazia moderna. E riportano al Medioevo. Quella di Laura Lugli, la pallavolista sanzionata dalla sua società per la sua gravidanza. Quella della solitudine delle madri costrette a lasciare il lavoro alla prima maternità. Per l’assenza di servizi e di condivisione della cura. Quella di Luana D’Orazio morta di lavoro a 22 anni, come tanti, incredibilmente, tutti i giorni, di tutte le settimane dell’anno. Quella dei braccianti invisibili in sciopero il 18 maggio.

L’Istat poi ci dice di un milione di posti di lavoro persi in questi mesi soprattutto dalle donne e dai giovani per gli effetti della crisi indotta dalla pandemia. Vigente ancora il blocco dei licenziamenti, ma in assenza di ammortizzatori sociali universali.

Nello stesso tempo il lavoro da remoto, obbligato dal distanziamento sociale, ha mostrato vantaggi e limiti. Non si tratta di una novità transitoria ma di un cambiamento del lavoro, non l’unico, di straordinario impatto sulle persone, sulle imprese e sull’organizzazione sociale complessiva. Con trasformazioni positive che la rivoluzione digitale consente, ma non realizzerà in automatico. Senza la politica ad orientarla.

Quando nel maggio del 1970 divenne legge lo Statuto dei lavoratori si disse che la Costituzione entrava nelle fabbriche. Lo Statuto non nasceva dal nulla: aveva alle spalle anni di grandi lotte operaie per la conquista di migliori condizioni di lavoro e di salario. Al governo c’era il partito socialista e intorno una discussione pubblica molto intensa sul futuro del paese. L’art.18, il reintegro nel posto di lavoro di fronte a un licenziamento ingiustificato, era il suo l’architrave.

Oggi nel 2021 dopo la pandemia e sulla scorta della vulnerabilità che ne e’ emersa, la transizione digitale ed ecologica e’ la via e anche l’approdo indicato dall’Europa verso la democrazia contemporanea ed un modello produttivo e sociale più sostenibile. Per l’ambiente e per le persone.

La consapevolezza della profondità del cambiamento non contraddice l’idea di fondo della potenza trasformativa del valore del lavoro, e della cura, ma mette di fronte alla realtà mutata nella quale calare un nuovo sistema di diritti e di welfare che possa garantire libertà, dignità, sicurezza . Decisive per le persone e, come ci dice la storia, per la modernizzazione delle imprese e il benessere collettivo.

Per realizzarlo due sono le strade, sul piano dei diritti e su quello delle politiche. Entrambe percorribili con le risorse del PNRR se ci sarà però la lungimiranza politica di tracciare la direzione di marcia attraverso la condivisione democratica tra governo, parti sociali, società.

Sul piano dei diritti serve un nuovo architrave che sorregga un nuovo sistema.
Se l’articolo 18 lo e’ stato per lo Statuto  dei lavoratori degli anni 70, il diritto al digitale e alla formazione permanente lo possono essere per il futuro. In particolare l’istruzione e la formazione permanente possono essere l’architrave del nuovo sistema dei diritti dei cittadini, dei lavoratori e delle lavoratrici. Come diritto costitutivo di cittadinanza e per impedire l’obsolescenza della proprie competenze davanti ai cambiamenti strutturali dei processi produttivi legati all’innovazione, per acquisirne di nuove e liberare creatività.
Il diritto al digitale a sua volta e’ la cura per le nuove diseguaglianze digitali.

Se il lavoro di domani non potrà essere ripetitivo e procedurale, come dicono tutte le previsioni dei maggiori istituti internazionali, ma basato sulla creatività, l’intraprendenza, la progettazione e l’adattabilità, a tale previsione non potra’ che corrispondere sul piano delle politiche la formazione 4.0, un insieme cioè di misure e scelte, strutturali e finanziate adeguatamente, per accompagnare le persone e le imprese nella transizione verso nuovi modi di guardare al lavoro. E per rinnovare il sistema di istruzione. Insieme ad un welfare davvero universale. Per ridare valore, dignità, libertà al lavoro. Come dice la Costituzione.

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