Per l’Europa una svolta epocale, ora serve un passo in più
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Non è il sogno di una notte di mezza estate. Quanto avvenuto nell’ultima notte dell’ultimo Consiglio Europeo non ha le caratteristiche che hanno ispirato per secoli generazioni di attori e sognatori, dilettati dagli intrighi del “dolce Puck”. Ha avuto, invece, la durezza e ruvidezza propria delle vicende sociali e storiche.

Più volte nei giorni che sono alle nostre spalle si è avuta la sensazione che tutto potesse essere compromesso dagli egoismi nazionali. Si è avuta la sensazione che mesi di lavoro al fianco delle nostre comunità in affanno per la più grande crisi economica degli ultimi anni potessero andare persi. Che gli strumenti messi in campo dal Parlamento Europeo, dalla Commissione e dalla BCE risultassero vani, o almeno insufficienti, per il prevalere di veti e condizioni.

Ha prevalso, al fine, l’Europa.

Ha prevalso quella spinta a superare gli ostacoli, a stare al mondo come comunità che ha accompagnato il suo processo di integrazione anche nei tornanti più difficili della storia, anche quando sembravano prevalere controspinte nazionaliste. E lo ha fatto con uno sforzo la cui inedita forma lascia vedere ben al di là della contingenza della crisi sanitaria e della risposta ai suoi effetti sulla nostra economia.

Innanzitutto nel suo equilibrio: quella che conosciamo oggi è un’Europa con un baricentro molto più plurale e solido, con distinzioni tra Europa del Sud e del Nord molto più labili. Negli strumenti adottati, che figurano sempre più come strumenti da “vero” Stato, a cominciare dai “bond”, che non sono semplicemente un tecnicismo ma anche un grande “fatto” democratico. Nelle dimensioni e tempestività degli interventi, che hanno fatto dimenticare i limiti e le insufficienze della risposta alla crisi del 2008.

Per quanto riguarda più da vicino il nostro paese, questo sforzo, questa Europa inedita, è una svolta epocale.

Negli ultimi anni si è avvertita una disaffezione, spesso giustificata, al processo di integrazione che veniva giudicato nel migliore dei casi già sufficiente. Ora ovviamente siamo solo alla “Fase 1”, toccherà a noi tutti rendere tangibile il cambiamento, innanzitutto attraverso la riparazione di molte diseguaglianze e ritardi che ancora avvitano il paese su sé stesso: innanzitutto, come ho avuto spesso modo di ripetere, il divario territoriale e quello di genere. E poi c’è un tema che spero segni gli anni a venire delle forze politiche nazionali e, ovviamente del Partito Democratico: noi non bastiamo a noi stessi. Questo è parte della insoluta crisi italiana.

Ci sarà un tempo per riflettere, e per noi lo è già adesso, su quanto ciò che abbiamo vissuto in questi mesi imponga una decisa e definitiva accelerazione del processo di integrazione. Se non ora quando, diceva un motto femminista di qualche tempo fa.

Ecco, la domanda da porci oggi è esattamente questa: se non ora, quando? Non è opportuno in questa sede riproporre un vecchio schema dialettico tra federalisti e intergovernativi. Non lo sarà neanche in futuro, credo. Ma il tema che si pone già oggi è quanto l’attuale scheletro istituzionale europeo possa essere reso funzionale alle necessità democratiche e sociali del continente.

Oggi la risposta è stata adeguata, ma, ambizione che non vogliamo più nascondere, vogliamo che in futuro lo sia ancora di più. 


Pina Picierno è europarlamentare del Partito Democratico

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