Perché serve una ripartenza che metta al centro il territorio

L’emergenza che stiamo vivendo sta ponendo a dura prova il nostro sistema sanitario, economico e di welfare. In Europa, l’Italia è la più colpita dal Covid-19 ed è quella che rischia di più a causa di un debito pubblico che ci trasciniamo da troppo tempo.

Infatti, se abbiamo imparato che quella che stiamo vivendo è una recessione simmetrica, non possiamo far finta di non sapere che gli effetti rischiano di essere più duri in quei Paesi con equilibri economici, ma anche politici, più precari. Per questo la gestione della fase di ripartenza sarà fondamentale. Ora ci aspetta una transizione lunga, durante la quale dovremo imparare a convivere con un virus che ha ancora molti aspetti ignoti. La crisi sta mettendo in discussione assetti a diverse scale: internazionale, nazionale e regionale.

Innanzitutto è bene ricordare che non siamo soli.

L’Unione Europea, dopo una colpevole esitazione iniziale, ha fatto passi importanti, impensabili solo pochi mesi fa: sospensione Patto di Stabilità, il Piano SURE con 100 miliardi per la disoccupazione, il Piano della BEI per garantire liquidità alle pmi, la possibilità per gli Stati di spendere i fondi strutturali residui e anche l’uso del MES senza condizionalità sono certamente segnali forti per i cittadini, per le imprese e per i mercati.

Si poteva fare di più? Certamente si, adesso la battaglia è concentrata sul Recovery Fund ma qui è doveroso sottolineare come proprio il dibattito sul MES renda necessario un balzo in avanti nel processo di integrazione politica dell’Unione Europea. Mario Draghi, con tutta la sua autorevolezza, ha ben spiegato come questo deve essere il tempo in cui lo Stato protegge i cittadini e le imprese da una pandemia che rischia di avere gli stessi effetti di una guerra. 

Questo segnale è importante per il nostro Paese e deve essere uno sprone a “fare debito buono”, a recuperare la distanza che ci separa da molti Paesi europei in termini di infrastrutture (manutenendo quelle materiali e costruendo quelle immateriali) a servizio dei cittadini e delle imprese, di tutela e valorizzazione del nostro territorio per il rilancio di un settore chiave come il turismo, di investimenti in ricerca scientifica e innovazione tecnologica, di conversione dei processi produttivi più inquinanti.

Anche qui il nostro contesto di riferimento non può che essere quello europeo: il Green Deal è innanzitutto una nuova strategia per la crescita sostenibile, in grado di trasformare l’Unione in un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva.

In Italia questo vorrà dire anche mettere al centro delle politiche di sviluppo quella dimensione territoriale e locale che, annebbiati da una globalizzazione dalle lunghe filiere, avevamo dimenticato ma che la crisi ci ha ricordato essere fondamentale per la nostra vita sociale e produttiva.

La Lombardia è tra le regioni più colpite al mondo dal punto di vista sanitario. Il numero dei morti e il tasso di letalità che il Covid-19 ha nei nostri territori impongono una severa ricostruzione delle responsabilità politiche e amministrative: sarà il compito della Commissione regionale d’inchiesta che abbiamo richiesto. Ciò che appare evidente è che il sistema sanitario lombardo, così come è stato plasmato dal centrodestra, non ha retto: la gestione degli ospedali confusa, il fallimento della medicina territoriale, la mancanza di dispositivi di protezione individuale per medici e infermieri, le drammatiche scelte sulle RSA, l’apertura di un nuovo ospedale costato 20 milioni di euro che occupa 20 posti letto sono sotto gli occhi di tutti e la bassa propaganda dell’Assessore Gallera e del Presidente Fontana non ha più alcuna credibilità.

Tuttavia qui sarà cruciale la fase della ripartenza per un sistema produttivo messo a dura prova da settimane di lockdown. Le imprese lombarde hanno urgente bisogno, dopo gli interventi di natura economica messi in campo dal Governo, di un piano per riaprire in sicurezza, garantendo la salute dei lavoratori e dei cittadini. 

Questa crisi ci sta dando molte lezioni. Una di queste è l’aver reso evidenti tutti i limiti dell’internazionale sovranista che, a fronte di un problema di ordine mondiale, pensa che basti rinchiudersi ognuno nei propri confini all’urlo di “prima i miei”. Tuttavia dovremo trovare in fretta un vaccino proprio contro questa propaganda, capace di raccogliere la rabbia di chi vedrà le proprie condizioni di vita e di lavoro peggiorare. Le ricette dei tecnici, per quanto utili, non bastano, è compito della politica, e di una sinistra ampia, rinnovata e progressista, proporre risposte alle nuove esigenze di welfare, alla questione ambientale, alla necessità di far ripartire la nostra produzione, per uscire da questa crisi un po’ migliori rispetto a come ci siamo entrati.

Vinicio Peluffo è il segretario regionale del Pd Lombardia

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