Rifare l’Europa è un obbligo, lo status quo non può più funzionare

Nelle ultime settimane si è aperto un dibattito mai risolto, ma estremamente interessante, sul rapporto tra la fonte interna e quella comunitaria, dal momento che la Corte Costituzionale Tedesca ha eccepito il mancato rispetto del principio di proporzionalità nel Trattato o ultra vires, ossia il mancato rispetto della ripartizione delle competenze tra l’Unione europea e gli Stati membri, per quanto riguarda l’emissione negli anni precedenti dalla BCE dei QE. In tale richiamo giurisprudenziale, il principio di proporzionalità è inteso come analisi controfattuale che soppesa vantaggi e svantaggi della decisione. La sentenza della Corte di Karlsruhe mette in evidenza come il progetto europeo sia particolarmente in difficoltà.

Ed invero, ogni Stato Nazionale si fonda sulla sovranità popolare, e non di certo su una sovranità monetaria, tant’è vero che si sono potuti rilevare i gravi limiti se non addirittura il fallimento, secondo alcuni, del percorso di unificazione che si è posto in essere dalla fine degli anni ‘90, con il quale si è voluto unificare solamente il sistema bancario e monetario, piuttosto che armonizzare e provare ad universalizzare i principi e i valori su cui si fondano gli Stati. Non sono di secondaria importanza concetti come comunità, cittadinanza e sovranità, intesa come potere e volontà che si impone sugli altri. Pare evidente che l’Unione di Stati sia una fattispecie alquanto complessa, che non poteva essere risolta con una mera unità monetaria e bancaria, poiché gli interessi in campo e le differenze tra gli Stati sono notevoli.

Non bisogna dimenticare che il principale modello e metro di paragone di “Unione federale di Stati” ossia quello proprio degli Stati Uniti d’America si è realizzato dopo anni di guerre civili e non ha riguardato Stati già consolidati e formati come sono presenti in Europa. Oggi, si nota in maniera limpida l’inefficienza dell’impostazione che si è voluta dare all’Unione Europea, ovverosia costituire un’unità dal punto di vista bancario e monetario, dimostrando che uno Stato o un’unione di Stati, per essere tale deve avere in comune un ordinamento giuridico effettivo cristallizzato in una vera e propria Carta Costituzionale Europea, dei valori, una lingua, una tradizione, insomma deve avere un’anima e non solamente una moneta o un sistema bancario comune. Alla luce di quanto detto, ci si pone un interrogativo: potrà esistere, davvero, un progetto Europeo nei prossimi anni?

Per realizzare il sogno europeo è fondamentale interrogarsi sul come superare il rapporto spesso conflittuale tra l’ordinamento sovranazionale e quello statale, difatti si è discusso di una costituzione europea con l’universalizzazione dei diritti, per poi sottoscrivere nel 2007 il Trattato di Lisbona che riprendeva alcune richieste di riforma che ci fu nel dibattito dei primi anni 2000 sul progetto costituzionale europeo.
Si è discusso di Costituzione Europea all’inizio degli anni 2000, tale progetto di riforma indicava le due grandi sfide dell’Europa del nuovo millennio: una interna, l’avvicinare le Istituzioni Europee al cittadino e potenziare la democraticità dell’Unione; una esterna, il ruolo che avrebbe avuto l’Europa unita, per quanto riguarda la tutela della pace, la democrazia e i diritti fondamentali dell’uomo. A tale riguardo, si era discusso se sviluppare una politica estera e di sicurezza comune, di ambiente, di sanità, oppure invece demandare tali questioni agli Stati membri e, ove la loro costituzione lo preveda, alle regioni; ridurre il numero di strumenti legislativi e riassumere in un unico documento il vastissimo corpus giuridico dell’Unione, per garantire la massima chiarezza. Tale progetto costituente tramontò, inizialmente a causa dei due referendum in Francia ed Olanda nel 2005 e, successivamente, Regno Unito, Polonia e Danimarca sospesero i loro referendum così da rendere impossibile la ratifica. Le elezioni referendarie di Francia e Olanda segnano infatti l’atto di nascita ufficiale di quel vasto movimento anti-europeo che oggi rende instabile la politica dell’intero vecchio Continente.

Sul punto si deve anche dire che è inverosimile voler definire Costituzione il progetto di riforma e di semplificazione dei trattati, conclusosi con il Trattato di Lisbona, resta lontanissimo da un vero processo costituente. Questo implicherebbe una rifondazione di sovranità e di legittimità democratica. Richiederebbe di spostare il baricentro del potere europeo dalle varie capitali a Bruxelles. Un popolo che si dà una Costituzione, la mette a fondamento della propria cittadinanza, facendo sì che si parli innanzitutto di cittadini europei, e solo in secondo luogo italiani, francesi o tedeschi. Tanto è vero che gli Stati Uniti d’America, che sono uno Stato Federale affermato e consolidato, con una struttura politico istituzionale ben delineata e una politica estera unitaria e rappresentativa di tutti gli Stati membri, hanno una Costituzione che si apre con “Noi Popolo degli Stati Uniti … ordiniamo e stabiliamo questa Costituzione …”, mentre nel preambolo del Progetto Costituzionale Europeo si faceva riferimento alla volontà dei rappresentanti degli Stati membri.

È pacifica, quindi, la diversa forza del potere costituente tra quello americano e quello europeo, anche prendendo in considerazione che quella americana è una vera e propria Costituzione, che presenta la fotografia della situazione politico istituzionale che l’ha prodotta e l’insieme delle tradizioni e della cultura di un popolo. Nonostante porti sulle spalle più di due secoli di storia essa è sempre attuale e continua a riportare sempre il quadro esatto culturale e istituzionale degli Stati Uniti, questo ovviamente grazie al contributo della Corte Suprema la quale l’ha modificata nel tempo rendendola sempre più vicina alle esigenze del popolo che l’ha voluta. Quella europea, invece, un semplice accordo fra Stati il quale cerca di riprendere lo stile Costituzionale, ma ne è solo una sembianza perché rimane comunque nella logica del Trattato. Il volere del popolo è stata solo l’ultima istanza alla quale è stata sottoposta. Il processo è stato svolto all’inverso, ossia l’iniziativa è partita dall’alto, da una mediazione dei vertici nazionali i quali non hanno presentato proposte e progetti ideologici ma hanno raccolto semplicemente il minimo comune denominatore delle Carte Costituzionali nazionali.

Sembra evidente che, ad oggi, sia decisamente impossibile la realizzazione del progetto degli Stati Uniti d’Europa, in quanto non ci sarebbero le condizioni del we the people o della voluntas degli Stati membri di voler abdicare la loro sovranità, vale a dire cedere il proprio potere ad una Istituzione sovranazionale.
Per tale ragione, si ritiene necessaria una discussione chiara e puntuale sia all’interno degli Stati che tra i plenipotenziari, al fine di porre in essere un riconoscimento giuridico formale e sostanziale. Si immagina sia più fattibile una forma federalista dell’Europa, mantenendo la sovranità in capo agli Stati membri, piuttosto che la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa. Quanto innanzi detto, dimostra chiaramente le ragioni sottostanti alla sentenza del 5 maggio scorso emessa dalla Corte Costituzionale Tedesca, la quale mette in evidenza come non esiste sostanzialmente quel principio solidaristico su cui si dovrebbe basare un’ Unione Europea. Pertanto, oggi, l’atto emesso dalla menzionata Corte indebolisce fortemente anche la fattibilità del piano di aiuti economici, cosiddetti Recovery Fund, per i Paesi maggiormente in difficoltà a causa dell’emergenza sanitaria. Un mancato intervento significativo e solidaristico potrebbe porre fine al progetto europeo, dimostrando come sia fragile l’Unione Europea, dal momento che si è immaginato di realizzarla dal punto di vista economico e non mediante una sovranità popolare, politica ed istituzionale.

In conclusione, il processo di integrazione europea è ormai arrivato ad un punto cruciale e definitivo. Il futuro, però, è ancora tutto da scrivere e se i Paesi europei non daranno nuovo slancio al progetto dell’Unione ciò che ci aspetta è un ritorno al passato. Le debolezze dell’Unione si sono rilevate sia con la crisi del 2008 e , soprattutto, con quella sanitaria di questi mesi, in cui si è dimostrato che i Paesi europei sono meno uniti di quanto dovrebbero essere.

Questa crisi può essere un’opportunità per dare un nuovo impulso alla formazione degli “Stati Uniti d’Europa”? Sicuramente, può essere quell’evento da cui può scaturire un processo più ampio di formazione di un percorso di integrazione europeo. Ma per quanto detto in precedenza, pare illusorio la formazione di uno Stato federale, senza una consapevolezza e una volontà forte da parte dei cittadini e, allo stesso tempo, l’intenzione da parte degli Stati di cedere parte del proprio potere, legittimando un Ente di livello superiore. Piuttosto sarebbe immaginabile, date le difficoltà oggettive, di realizzare una confederazione, che è un’associazione di Stati creata mediante un trattato, al fine di redigere una Costituzione comune, così da universalizzare i principi fondamentali e valori, su cui fondare la Confederazione degli Stati e, di conseguenza, presentarsi come unico interlocutore a livello internazionale.

Dal punto di vista monetario, invece, sarebbe auspicabile che la BCE diventi una vera banca centrale, com’è la Federal Reserve negli Stati Uniti d’America, che deve supportare gli Stati con un cambio del paradigma economico, ovvero ponendo in essere una politica monetaria espansiva, ad esempio finanziando la Banca Europea degli Investimenti e le Banche Pubbliche d’Investimento dei singoli Stati, affinché si possano agevolare gli investimenti che saranno necessari per ricostruire le economie dei Paesi membri. Del resto, gli Stati europei applicano aliquote molto diverse e ciò permette alle varie multinazionali di scegliere dove avere la propria sede, per pagare meno tasse, così da penalizzare le aziende che hanno la propria sede in Stati con la tassazione più alta. Quest’ultimo esempio, pone in evidenza l’importanza di condividere principi e valori, in quanto eviterebbe uno svantaggio e una concorrenza all’interno della Confederazione per i Paesi membri, che risulta inutile e stridente se c’è davvero la volontà di realizzare un progetto comune.

In ragione di quanto evidenziato, qualora non mutasse lo status quo, le conseguenze potrebbero essere da un lato, l’occultazione del potere dell’elites politico-economiche nazionali e sovranazionali, per continuare a tutelare i propri interessi particolari, mentre dall’altro potrebbe concretizzarsi come è avvenuto già in Francia movimenti popolari tumultuosi, in quanto i popoli non possono essere governati solamente con parametri economici e finanziari, bensì è fondamentale porre in essere scelte in ambito sociale e, allo stesso tempo, dare loro una visione di comunità nel medio e lungo termine.

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