La Conferenza delle democratiche e l’onda d’urto del cambiamento

La pandemia ha stravolto i paradigmi, le aspettative, lo sguardo sulla realtà. Ha scardinato le nostre certezze, reso incerto il futuro, ma ha anche rafforzato le diseguaglianze, approfondendo i divari. E quello fra uomini e donne rischia di diventare irreversibile.

I dati sono incontrovertibili. In Italia gli uomini dedicano in media meno del 40% del proprio tempo al lavoro di cura, le donne il 75%, quasi il doppio; le donne pur riuscendo meglio negli studi e raggiungendo livelli di istruzione superiori, sono più precarie e meno pagate, e il gender pay gap è pari al 17,8%. Inoltre, considerando le donne tra i 25 e i 49 anni con figli minorenni, più di 4 su 10 non hanno un lavoro, mentre più del 40% delle madri con almeno un figlio si vede costretta al part-time pur di continuare a mantenere un’occupazione.

Il lockdown ha imposto alle donne uno sforzo ulteriore al limite del sostenibile. La chiusura delle scuole e dei servizi educativi, il dissolversi del welfare pubblico, dei servizi di cura privati e delle reti familiari ha imposto alle donne di supplire per ogni dove. Per le più fortunate – che il lavoro non l’hanno perso – tutto questo si è intersecato con lo smart working, una prova ulteriore senza più alcuna forma di separazione degli ambiti e dei tempi di vita e di lavoro. Per le meno fortunate, invece, con la cassaintegrazione o la perdita dell’occupazione. Sappiamo bene come le donne riempiano il bacino del lavoro nero e grigio.

In questo contesto la Conferenza delle Democratiche ha mosso i suoi passi per ritrovarsi e riorganizzarsi, per ricostituire una partecipazione ampia e trasversale che si aprisse anche alle donne non iscritte al PD, in un’alleanza ampia e trasversale. La pandemia ha intercettato anche il percorso dell’elezione della Portavoce nazionale, rallentando un processo di condivisione e confronto in presenza che si era ormai avviato. Nonostante tutto, la Conferenza non si è fermata. Le delegate hanno continuato a confrontarsi in diverse sedi e a lavorare insieme, non solo per individuare la propria rappresentanza, ma anche per indentificare priorità, criticità, strade possibili per ridisegnare gli equilibri ulteriormente compromessi dalla pandemia. E di questo processo Cecilia D’Elia è stata motore e legame.

Ci aspetta un autunno difficile con un’ondata di disoccupazione che colpirà le donne in maniera particolarmente violenta in quella che si prospetta la più grande crisi da Dopoguerra. Una crisi che rischia di acuire le diseguaglianze nel complesso, ma in maniera particolare quelle che scorrono fra uomini e donne. E la Conferenza deve essere pronta a fronteggiare questa nuova fase. Qualche giorno fa Livia Turco ha pubblicato una lettera aperta alle donne incitandole ad un urgente cambio di passo: “Dobbiamo avere l’ambizione di costruire una nuova stagione di protagonismo femminile. Dobbiamo costruire un’onda d’urto che invada la società e le istituzioni della politica. Un’onda d’urto che decida l’agenda politica e di governo del nostro Paese. Dobbiamo farlo oggi. Non domani”. Questo è esattamente ciò che ci aspettiamo dalla Conferenza delle donne e dalla sua Portavoce, che sia onda d’urto e che operi con forza e urgenza, in maniera libera e con sguardo femminista.

Per queste ragioni e molte altre, noi e tante altre donne come noi  che si sono iscritte alla Conferenza per essere un tramite e un ponte con l’associazionismo, crediamo fermamente nella candidatura di Cecilia D’Elia a Portavoce nazionale della Conferenza delle donne. Cecilia viene da una lunga esperienza di militanza nella Sinistra e nel PD, da una storia femminista coerente e di grande impegno, e da molteplici esperienze istituzionali a livello locale. Da molti anni si occupa di violenza, anche a capo della Cabina regionale, dove è stata elaborata una legge quadro contro la violenza di genere fra le più innovative, e azioni che hanno collocato molte iniziative di questa regione fra le buone pratiche a livello nazionale, come per esempio le misure a favore degli orfani di femminicidio e il contributo di libertà per le donne vittime di violenza. Cecilia è un’intellettuale che ha saputo lavorare con indipendenza, libertà e autorevolezza, dentro e fuori le istituzioni, portando sempre avanti le battaglie e le rivendicazioni delle donne, anche attraverso i suoi libri.

La piattaforma elaborata da Cecilia D’Elia testimonia tutto questo, oltre il suo percorso politico, le istanze di cambiamento urgenti che la Conferenza deve portare avanti, senza chiedere permesso a nessuno, ma al contrario imponendo quell’onda d’urto gentile, ma decisa invocata da Livia Turco. Inoltre, la piattaforma è il risultato di un percorso collettivo, di confronto costante, di costruzione condivisa dell’agenda, di assunzione di responsabilità, frutto di una discussione articolata, ampia e autentica.

La Conferenza delle democratiche che abbiamo immaginato insieme è femminista e motore di una stagione di riforme. Una Conferenza che abbia il grande obiettivo di ricostruire un “noi” delle Democratiche e didiventare una soggettività collettiva e autonoma. Una Conferenza che rivendichi uno spazio più ampio per le donne perché vogliamo essere di più e contare di più. Una conferenza che guardi al mondo senza prescindere dall’Europa, fondata sulla pace, la libertà, la democrazia, lo stato di diritto.

Le disuguaglianze strutturali devono essere appianate con urgenza. Interdipendenza, cura, responsabilità, sono le parole da cui ripartire. Dobbiamo investire nelle grandi infrastrutture sociali; redistribuire il tempo tra uomini e donne, promuovere condivisione, liberare energie femminili; contrastare il divario retributivo, promuovere l’occupazione femminile soprattutto al Sud. Dobbiamo fare in modo che il lavoro agile sia davvero una opportunità di flessibilità e di diversa organizzazione e qualità dei tempi di vita.

Dobbiamo mettere in piedi un sistema efficace di politiche per le famiglie e in questo senso l’Assegno unico deve rappresentare un cambiamento radicale anche con delle misure per la distribuzione più equilibrata delle responsabilità, a sostegno delle famiglie e della genitorialità. Il congedo di paternità ampliato, obbligatorio e non cedibile non è più rimandabile, così come la legge sul cognome materno.

E in questo contesto la scuola dell’infanzia e dell’obbligo deve ripartire non solo perché fondamento irrinunciabile del diritto all’istruzione, ma anche come perno dell’organizzazione familiare e della vita delle donne. Ma chiariamoci subito su un punto: la famiglia è una comunità di affetti, indipendentemente dalla sua forma e dall’orientamento sessuale di chi la compone.

Non possiamo più rimandare il tema dei diritti – a partire da quelli delle donne migranti – all’interno di una più generale proposta sul welfare di comunità e sulla cura. Incontro, intercultura e cittadinanza devono tornare a essere le parole delle politiche sull’immigrazione. Dobbiamo rimettere mano al Servizio Sanitario Nazionale – in cui tante donne sono protagoniste ogni giorno – ridisegnando l’integrazione socio sanitaria, il welfare e la medicina territoriale e di comunità.

Si impongono molte atre sfide: il contrasto dell’affido condiviso; il potenziamento della lotta contro la violenza maschile sulle donne; il contrasto della lotta agli stereotipi di genere, l’educazione al rispetto delle differenze e l’educazione sentimentale. Dobbiamo rafforzare la rete dei consultori familiari e garantire le scelte procreative e l’autodeterminazione delle donne, sempre sotto attacco come dimostra il recente caso della Regione Umbria sulla somministrazione della pillola RU486.

Non possiamo più accettare le resistenze all’ingresso delle donne nei luoghi delle decisioni e all’affermazione della democrazia paritaria. Per questo tutte le Regioni d’Italia devono dotarsi di una legge elettorale con la doppia preferenza e il nostro Paese deve  varare una legge per il riequilibrio del genere meno rappresentato in tutte le nomine pubbliche.

La Conferenza delle Democratiche, praticando una capacità di ascolto fra donne dovrà essere un luogo di elaborazione e di costruzione di un’agenda politica per cambiare l’Italia a partire da una legge quadro per la parità e contro le discriminazioni di genere. La scommessa è rendere la Conferenza un luogo vivo, partecipato e popolare. Un luogo del nuovo femminismo italiano. Per farlo è necessaria una Portavoce capace, indipendente e autonoma, pronta per le sfide che ci aspettano.

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